A partire da che età un bimbo può confessarsi?

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Predisposti alla vita interiore, i bambini hanno tutto da guadagnare nel familiarizzare presto col sacramento del perdono.
priest confession childFoto: Sebastien Desarmaux / Shutterstock

Colpisce vedere il fossato che separa i bambini dagli adulti riguardo al sacramento della penitenza. “Come confessarsi senza farcisi trascinare”, titolava un numero speciale di Famille Chrétienne destinato ai più attempati. E invece Aubin, appena novenne, ci spiega come la cosa più semplice del mondo: «Visto che c’è un prete, ne approfitto [per confessarmi]». Inimmaginabile che noi, dall’alto dei nostri quarant’anni, esclamiamo: «Padre, che botta di fortuna!, visto che è qui…».

Questa facilità disarmante dei più giovani a dirigersi verso il confessionale il reverendo Alexis Garnier, prete a Versailles, la sottolinea regolarmente nel corso dei ritiri famigliari e dei pellegrinaggi:

I bambini chiedono di confessarsi fin dal primo giorno, anche fin dai primi minuti, e talvolta ogni giorno, mentre gli adulti tendono ad aspettare l’ultimo momento.

Ingrid d’Ussel, autrice di  S’il te plaît, Maman, emmène-moi me confesser [Per favore, mamma, portami a confessarmi (N.d.T.)], ha fatto analoga osservazione istituendo nella sua parrocchia Les petits ostensoirs  [I piccoli ostensorii (N.d.T.)], un gruppo di confessione frequente per bambini. «La loro gioia e il loro zelo sono edificanti per noi adulti».

 

«Un calcio d’inizio per tutta la vita»

In effetti i bambini hanno una capacità naturale di connettersi al buon Dio. Una buona ragione per non tardare a lasciarli familiarizzare fin dalla più tenera età con questo sacramento, senza attendere l’imminenza della prima comunione e senza proiettare su di loro i nostri dissidi interiori.

Il fatto di imparare a confessarsi presto fin dai primi anni è un calcio d’inizio per tutta una vita sacramentale. I sacramenti si integrano nel cammino di santità e si lascia che il buon Dio santifichi le loro anime di bambini. Quando saranno più grandi, avranno preso l’abitudine della confessione regolare.

Così sottolinea padre Garnier. Un’eco al discorso di san Giovanni Paolo II ai vescovi del Québec (1999):

La tenera infanzia è un periodo importante per la scoperta dei valori umani, morali e spirituali.

 

A partire da che età un bambino può/deve confessarsi?

La Chiesa insegna che «ogni fedele giunto all’età di discrezione è tenuto all’obbligo di confessare fedelmente i suoi peccati gravi almeno una volta l’anno» (CIC 989).

Questa “età della discrezione”, o “età di ragione”, si colloca all’incirca attorno ai 7 anni, «sia al di sopra di esso, sia anche al di sotto», come ha ricordato il Papa San Pio X nel decreto Quam singulari, sulla comunione dei bambini.

È tanto per dare un’idea – precisa padre Garnier –: può essere anche prima, per alcuni. I genitori devono vegliare “al capezzale spirituale” dei figli per destare la sua coscienza morale. Poi dopo faranno il legame col prete.

«Mettersi al capezzale spirituale» del figlio. Bella formula che ci ricorda come l’educazione religiosa dei nostri bambini non si limiti a dire insieme la preghiera della sera delegando il resto alla scuola o al catechismo, i quali «comunque dovranno» toccare la questione della confessione in occasione della preparazione alla prima comunione, dunque tra la quarta e la quinta elementare.

 

Con il sostegno delicato dei genitori

Già nel XIX secolo padre Timon-David osservava desolato:

I bambini non ricevono più sulle ginocchia della madre questa educazione primaria che facilitava il nostro compito.

La formula può sembrare desueta, ma resta sempre attuale. Nel quadro del contesto pastorale di cui è incaricato a Sartrouville (Yvelines), padre Grégoire Leroux, vicario parrocchiale di Saint-Vincent-de-Paul, sottolinea la difficoltà di iniziare i bambini alla confessione

se non sono accompagnati dai loro genitori e se non vivono in un contesto di pratica regolare.

Padre Philippe de Maistre, cappellano generale del liceo Sanislas a Parigi, distingue diverse tappe nello sbocciare della coscienza dei bambini. Una sorta di radiografia della loro vita spirituale che ci aiuta ad accompagnarli meglio. Egli ritiene che ci sia

una coscienza dell’amore di Dio che precede la coscienza del bene e del male. Verso l’età di 5 o 6 anni, la loro interiorità si desta. I bambini fanno esperienza della presenza intima di Gesù. Santa Teresa diceva che «il regno di Dio è dentro di noi». Da bambina, credeva più al Cielo che alle persone attorno a lei. Fin dal loro battesimo, i bambini hanno in effetti un rapporto naturale e pregnante con la vita interiore e col Cielo. Noi dobbiamo quindi renderli attenti a quella presenza, la quale altro non è se non la voce della coscienza: «Ascolta cosa ti dice Gesù».

Allo Stanislas, i bambini sono invitati a confessarsi fin dall’età di 5 anni.

È una confessione sotto il segno dell’amore che permette loro di meravigliarsi di questa presenza divina e insieme di realizzare, poco a poco, che la loro vita non si riferisce più soltanto a un’autorità esteriore (quella dei genitori), ma anche a una interiore.

Poi la coscienza del bene e del male si sviluppa. È il momento in cui il bambino sperimenta veramente una relazione col bene e col male di fronte a Dio. Padre De Maistre consiglia quindi, e poi spiega:

È importante riferire la coscienza morale alla presenza di Dio in loro: quando fai qualcosa di vene di nascosto, ti senti bene; è Gesù che ti manifesta la sua presenza. Quando fai qualcosa di male, sei triste perché non hai ascoltato Gesù, gli hai detto “no” e allora è lui che è triste in te.

Il bambino capisce allora che cos’è il peccato: non è una sciocchezza, ma una cosa che taglia con l’amore di Dio, è rifiutare volontariamente di ascoltarlo e quindi ferirlo.

Bisogna dirgli che Dio lo ama infinitamente e che perdona sempre le ferite che gli facciamo, a condizione che gli chiediamo perdono tramite un prete, e che proponiamo di non ricominciare a ferirlo. La parabola del figlio prodigo è ideale per far ben comprendere che cos’è la confessione: un padre che accoglie il figlio pentito con le braccia spalancate. È un ritrovamento, quindi una gioia. «È andare a incontrare il Padre che riconcilia, che perdona e che fa festa», riassume Papa Francesco.

Più tardi si faranno i nessi tra il peccato e il sacramento del perdono alla passione di Cristo, che salva le anime – indica padre Garnier spiegando che

ogni peccato è come una spina conficcata nella testa di Gesù, mentre confessare i peccati significa schiodare Gesù dalla croce, come diceva il Curato d’Ars.

Infine, padre De Maistre spiega che i genitori devono aiutare i loro figli a fare i primi esami di coscienza

senza suggerire idee, ma dicendo: domandati quali peccati hai commesso. Devono rispettare quello spazio che sfugge loro, ma anche prepararlo, giungerne sulla soglia.

Ed è anche bene instaurare un ritmo, suggerisce Ingrid d’Ussel: «Iscrivere la confessione nella loro agenda così come vi appuntiamo la visita dal medico». La cosa migliore sarebbe anzi andarci in famiglia, raccomanda padre Leroux. Che cos’è più eloquente di vedere i propri genitori in ginocchio? E sentire il piccolo di casa che dice: «Visto che c’è un prete, ne approfitto!»?

 

 

 


Fonte: Elisabeth Caillemer in Aleteia, [traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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