Le radici ceciliane di san Pio X e la riforma della musica sacra

Opinioni & Notizie su Pio X

 

SantaCecilia.jpgInterno della Chiesa di Santa Cecilia in Roma, simbolo dell'Associazione Italiana Santa Cecilia per la Musica Sacra.

Nel centenario della morte di san Pio X. Dal "Bollettino Ceciliano" dell'Associazione Italiana Santa Cecilia per la Musica Sacra, aprile 2014

di Franco Baggiani

I

È ormai consuetudine diffusa di rievocare, allo scadere dei cinquanta o cento anni dalla nascita o dalla morte, la figura di un personaggio che ha inciso nella mentalità, negli usi e nelle abitudini della società. E questo, in casi particolari, coincide con il bisogno di conoscere in modo approfondito, con studi e ricerche, i vari aspetti del suo operato, l’incidenza che ebbe sulla vita anche delle generazioni che seguirono, in particolare quando sia stato all’origine di innovazioni o di trasformazioni che hanno segnato una nuova via.

In questo anno 2014 ricorre il centenario della morte del papa Pio X – ora santo - avvenuta il 20 agosto 1914; questa circostanza è occasione per doverose commemorazioni, come si sta facendo nelle città dove visse e operò con grande profitto, in convegni e in altre manifestazioni, in cui sarà argomento di nuovi e approfonditi studi la sua poliedrica attività e la sua non comune apertura ai problemi della Chiesa e della Società.

Il suo pontificato, durato undici anni (1903-1914), è stato ricco di provvedimenti rivolti a risvegliare la vita religiosa nei credenti e a circoscrivere gli errori dottrinali che serpeggiavano nella Chiesa, ma anche a rinnovare forme di culto e usi liturgici inaccettabili. Tra questi è senza dubbio la riforma della Musica sacra.

Anche per questo motivo l’Associazione Italiana Santa Cecilia non poteva lasciare nell’oblio la circostanza di approfondire o far conoscere meglio il ruolo che quel Pontefice ebbe per portare a soluzione un problema che, nonostante fosse da tempo dibattuto tra i musicisti e gli ecclesiastici fino dalla metà del secolo XIX, rischiava di risolversi in nulla se non fosse intervenuta una personalità autorevole e forte come la sua a favore dei sostenitori della riforma, di cui condivideva le istanze fondamentali, indicando a tutti, con l’autorità che gli veniva dal suo ufficio, quali erano le forme più idonee allo spirito della preghiera cantata.

Ora, dell’opera di Pio X in questo specifico settore è già stato scritto in occasione della celebrazione del centenario della promulgazione del Motu proprio “Tra le sollecitudini" (1903-2003) che ha rappresentato il “codice giuridico” voluto dalla Chiesa per dare inizio ad un nuovo corso nella prassi liturgico-musicale nelle celebrazioni divine (1).

In questa occasione sembra opportuno e utile riassumere i tratti principali delle motivazioni dei suoi interventi rivolti a collocare anche la riforma della Musica sacra nel suo programma di pontificato Instaurare omnia in Christo.

Innanzitutto è da sottolineare che al successo delle sue innovazioni contribuirono in modo rilevante, con la loro collaborazione, due personaggi che ebbero, seppure in ambiti diversi, un ruolo di protagonisti: il gesuita Angelo De Santi (1847-1922), ideologo e promotore del movimento di riforma, e don Lorenzo Perosi (1872-1956), autore di nuove e affascinanti composizioni grazie alle quali lo spirito della riforma e la sua novità più bella giunse fino nelle parrocchie più sperdute.

In fatto di cultura musicale il papa Pio X non era un semplice dilettante, perché oltre ad avere una particolare sensibilità verso la musica sacra, fino dalla sua gioventù, quando era ancora il giovanetto Giuseppe Sarto (questo il nome di battesimo, nato a Riese in diocesi di Treviso il 2 giugno 1835), aveva assimilato il gusto delle nuove esecuzioni vocali nel coro parrocchiale diretto dal cappellano della sua parrocchia don Pietro Jacuzzi (1819 – 1902).

Questo sacerdote, prima ancora che si fosse costituito quello che poi sarebbe stato definito il movimento ceciliano, aveva già aderito ai decreti dei Sommi pontefici e di alcuni vescovi che raccomandavano al clero e agli organisti di non usare più musiche improprie nelle funzioni religiose come era invalso il costume da tempo.

Le idee di don Jacuzzi in fatto di musica suscitarono l’interesse del giovane Giuseppe Sarto che rimase legato a lui anche quando, negli anni 1850-1858, fu alunno del Seminario di Padova. Infatti quando poteva gli inviava trascrizioni di partiture delle musiche che venivano eseguite dalla Schola cantorum del Seminario, di cui egli stesso era uno dei componenti e nell’ultimo anno di studi anche istruttore e compositore (2).

Dopo la ordinazione sacerdotale (1858) Giuseppe Sarto fu assegnato come cappellano coadiutore alla parrocchia di Tombolo dove rimase per nove anni, e dove, di sua iniziativa, costituì una Schola cantorum che lui diresse finché vi rimase.

Nominato parroco di Salzano, anche qui, dal 1867 al 1875, formò e diresse con grande impegno e buoni risultati una Schola cantorum composta da fanciulli  e da adulti. Lì ebbe come organista accompagnatore Arturo Cusinato che nel 1882 avrebbe partecipato al Congresso Europeo di Canto gregoriano ad Arezzo organizzato da don Guerrino Amelli, segno che condivideva le nuove proposte musicali.

Considerato che in quegli anni non si era ancora costituito il movimento ceciliano, sarebbe interessante conoscere quali musiche insegnasse don Giuseppe Sarto alle sue Scholae cantorum. È presumibile che nel periodo del Seminario abbia potuto leggere la pubblicazione “Sul carattere della musica di Chiesa” di un precursore della riforma, don Giovan Battista Candotti di Udine (1809-1876), edita da Ricordi di Milano nel 1851, e abbia conosciuto le composizioni musicali dell’allievo di lui, don Jacopo Tomadini di Cividale del Friuli (1820-1883) scritte in gran parte per voci virili, proprio come richiedeva il coro del Seminario (3).

Comunque sia don Giuseppe Sarto era conosciuto anche fuori dei confini parrocchiali proprio come un maestro di canto che escludeva le musiche di opere liriche dai repertori liturgici, e perseguiva il suo obiettivo di riforma della Musica sacra.

Nel 1874 durante il primo Congresso Cattolico di Venezia (12–16 giugno 1874) don Guerrino Amelli prospettò la necessità di affrontare il problema della riforma della Musica sacra cominciando col costituire una Associazione nazionale intitolata a Santa Cecilia. Don Giuseppe Sarto, essendo noto anche per questa sua attività, era stato invitato dalla direzione a contribuire alle spese organizzative come “aderente”, inviò la somma di £ 10 (4).

Il suo impegno riguardo alla riforma della Musica sacra continuò, seppure in modi diversi, a partire dal 1875 quando venne nominato canonico della cattedrale e cancelliere della curia vescovile di Treviso. Circostanze che gli consentirono di far delegare ufficialmente dal suo vescovo don Jacuzzi, anch’esso nominato canonico, come rappresentante della diocesi trevigiana al primo Congresso della fondazione della “Generale Associazione Italiana di Santa Cecilia” celebrato Milano nei giorni 4-6 settembre 1880 (5).

Fu una partecipazione provvidenziale perché da quella volta don Jacuzzi sarebbe intervenuto con profitto anche nei seguenti congressi dell’Associazione, sicché la sua influenza, unita alla migliore opportunità della sua azione riformatrice, acquistò più largo seguito alla Associazione Santa Cecilia.

Ciò si vide quando, il 24 settembre 1884, la Sacra Congregazione dei Riti emanò un primo Regolamento per la Musica Sacra in Italia secondo i principi propugnati dall’Associazione ceciliana. Ad esso i vescovi per primi dovevano attenersi. E proprio questo fece Giuseppe Sarto allorché, il 16 novembre 1884, fu promosso vescovo della diocesi di Mantova, dando vita ad alcune iniziative che miravano alla diffusione tra il clero della conoscenza e della applicazione dei principi di quel Regolamento. In questo suo operare maturò la convinzione che senza una vera istruzione musicale dei sacerdoti tutti i tentativi sarebbero falliti, e questo lo portò ad istituire nel Seminario diocesano una cattedra di Canto Gregoriano, di cui affidò l’insegnamento ad un ceciliano della prima ora, don Antonio Bonuzzi di Verona (6). Egli poi, nonostante fosse Vescovo, istruiva i seminaristi per quanto concerneva l’esecuzione dei canti in Cattedrale.

Ciò che incoraggiò il vescovo Sarto a sostenere con forza le sue convinzioni fu la pubblicazione su “La Civiltà Cattolica” dal 5 luglio 1887 fino al 21 novembre 1892 di articoli riguardanti la Restaurazione della Musica sacra da parte del gesuita Angelo De Santi.

Il prestigio del periodico e la solidità delle argomentazioni posero il nome di De Santi all’attenzione sua ma anche della Santa Sede, dei vescovi, dei rettori di Seminari e infine, in genere, degli uomini di cultura. Era quello che ci voleva per il vescovo di Mantova. Il primo provvedimento che egli prese nel 1887 fu di licenziare tutti i cantori della Cappella musicale del duomo e di sostituirli con i seminaristi più capaci. In questo modo il vescovo si proponeva di diffondere anche il canto gregoriano tra i fedeli. L’anno seguente 1888 indisse il Sinodo diocesano dove codificò gli orientamenti per la diffusione del canto sacro tra il clero, gli organisti e i direttori di coro nell’ambito dei loro impegni (7).

Quel movimento ceciliano, che aveva avuto inizio con tanto entusiasmo nel 1880, e che aveva subito una fase di incertezza cinque anni dopo, a causa del ritiro di Amelli nel monastero di Montecassino, venne portato avanti da Angelo De Santi non come presidente ma come guida culturale.

Costui preparò un programma di azione che divulgò durante un incontro di ceciliani, il 14 settembre 1889, nel paese di Soave (Verona). Tale programma fu di fondamentale importanza in quanto, perfezionato nei dettagli, fu poi alla base del Motu proprio “Tra le sollecitudini” di Pio X nel 1903.

Nel 1892 il vescovo Sarto, partecipando a Pavia alle feste centenarie in onore di Sant’Alessandro Sauli, come segretario della Conferenza episcopale lombarda, espresse con grande rilievo per scritto il compiacimento di tutto l’episcopato lombardo per le nuove e belle musiche preparate per l’occasione da Giuseppe Terrabugio e Giovanni Tebaldini.

Il 12 giugno 1893 Giuseppe Sarto fu creato cardinale e tre giorni dopo fu nominato Patriarca di Venezia dove però fece il suo ingresso circa un anno e mezzo dopo, a causa del ritardo con cui il Governo italiano dette l’exequatur.

In questo frattempo accaddero alcuni avvenimenti importanti. Il prefetto della Congregazione dei Riti, cardinale Gaetano Aloisi-Masella, volendo provvedere alla compilazione di un nuovo Regolamento per la Musica Sacra, il 13 giugno 1893, inviò a tutti gli arcivescovi della penisola una circolare con la quale domandava un “Voto” – cioè un parere - sulla eventuale modifica del regolamento esistente. La circolare arrivò anche al cardinale Patriarca di Venezia che, per il motivo sopra detto, dimorava ancora a Mantova. Non ritenendosi tanto competente sulla questione, il cardinale Sarto chiese la collaborazione del De Santi con lettera del 9 luglio, a cui il De Santi rispose inviandogli il parere richiesto il 30 luglio seguente. Quella prontezza forse destò meraviglia, considerata la complessità della questione; in verità, il De Santi si limitò a perfezionare e dare nuova forma a quel “programma di azione” che aveva letto a Soave nel 1889. Di fatto l’unica modifica importante fu che lo intitolò Studio.

Esso era diviso in tre parti: Considerazioni generali – Osservazioni particolari – Istruzione per la Musica Sacra. Ogni parte era corredata di riferimenti bibliografici e archivistici. Senza apportarvi alcune modifiche il cardinale Sarto lo spedì subito a Roma, dove però, benché la sua risposta fosse di gran lunga la migliore tra le altre inviate dagli arcivescovi, non fu presa in seria considerazione dalla Congregazione come apparve nel nuovo Regolamento emanato il 7 luglio 1894.

Un altro fatto, dalle conseguenze rilevanti, che si verificò nella residenza mantovana del cardinale, fu la nomina di Lorenzo Perosi (ancora seminarista) a Maestro della Cappella musicale di San Marco, nomina suggerita e patrocinata da Angelo De Santi. Nel pomeriggio del 25 maggio 1894 il Perosi, prima di presentarsi a Venezia per assumere l’incarico, si recò a Mantova ad ossequiare il cardinale. E quando questi fece l’ingresso solenne nella basilica di San Marco a Venezia il 24 novembre 1894, come nuovo Patriarca, fu accolto dalle musiche proprio di Lorenzo Perosi.

Uno dei primi atti di Giuseppe Sarto come Patriarca fu la costituzione di una Commissione diocesana per la Musica sacra di cui fece parte anche il Perosi. Forte della sua collaborazione il Patriarca emanò, in data 1° maggio 1895, una Lettera pastorale al “Venerando Clero del Patriarcato” tutta incentrata sulla riforma della Musica sacra, adattando i concetti e le proposte dello “Studio” di De Santi alle situazioni contingenti della diocesi di Venezia.

In verità, per come erano andate le cose, nessuno conosceva quel documento, sicché il cardinale poteva usarlo liberamente, e infatti intessé il suo ragionamento sulle tre qualità che avrebbe dovuto avere la Musica per il culto: santità – bontà delle forme – universalità, attingendole dalla terza parte dello Studio del De Santi, cioè “Istruzione per la Musica Sacra” (8).

Tanto era il suo interesse per la nuova musica liturgica, che i rapporti del Patriarca col Perosi divennero subito familiari; il giovane seminarista non fu fatto risiedere nel Seminario diocesano, ma nello stesso Patriarcato, fino a quando dal cardinale Sarto, il 21 settembre 1895, venne ordinato sacerdote.

Il nome di Lorenzo Perosi fu noto ben presto oltre i confini di Venezia per le sue composizioni di musiche vocali ad uso della Cappella musicale di San Marco come le Messe, i Vespri, gli Inni, i Cantici, le raccolte di Melodie sacre, ed anche per le composizioni degli Oratori, il primo dei quali fu la cantata In coena Domini su testo del vangelo di Marco che gli era stato suggerito dal cardinale stesso in occasione del V° Congresso Eucaristico nazionale svolto in Venezia nell’agosto 1897.

Intanto De Santi, ammirato per le composizioni di nuova musica che segnavano il “momento perosiano”, guardava più in alto: egli vedeva Lorenzo Perosi direttore perpetuo della Cappella Sistina. Questo si realizzò con l’approvazione di Leone XIII il 15 dicembre 1898, dopo il successo dell’ oratorio La Resurrezione di Cristo.

Non erano trascorsi cinque anni da quella nomina a direttore della Cappella Sistina che il 4 agosto 1903 il Patriarca di Venezia salì sul soglio di Pietro col nome di Pio X. Angelo De Santi collaborò ancora con lui e con Lorenzo Perosi e ambedue si trovarono vicini al Papa per proseguire nelle iniziative volte alla realizzazione della riforma della Musica Sacra.

Ancora un volta non è senza un profondo significato il fatto che Pio X, dopo circa due mesi dall’elezione, il 22 novembre 1903, promulgò il Motu proprio “Tra le sollecitudini” che segnò il decisivo abbandono della vecchia prassi di usare musiche non appropriate e l’avvio ad un nuovo corso nell’affermazione del canto liturgico.

Ma ancora una volta si deve rilevare che fu De Santi a suggerire al Pontefice di promulgare la terza parte di quel suo “Studio” del 1893 intitolata “Istruzione sulla Musica Sacra”. A questo testo il Papa apportò solo lievi perfezionamenti e l’introduzione che ha inizio con le parole Tra le sollecitudini dell’officio pastorale. Così venne sancito ufficialmente che la musica per il culto deve avere le qualità di Santa – Arte vera – Universalità.

I modelli da seguire sarebbero stati il Canto gregoriano, la Polifonia rinascimentale e le nuove composizioni ispirate a quei modelli.

Seguì poi la faticosa soluzione della questione gregoriana con le edizioni di Solesmes e del Vaticano, le feste “gregoriane” del 1904 in coincidenza del XIII centenario della morte di San Gregorio Magno, il nuovo regolamento per la Cappella Sistina (1905), la nomina di Ambrogio Amelli a presidente della rinata Associazione Italiana Santa Cecilia (1905), la nomina di Angelo De Santi a presidente dell’Associazione Italiana Santa Cecilia (1909), la fondazione ad opera sua della Pontificia Scuola Superiore di Musica Sacra in Roma (1911).

Queste le iniziative più importanti relative alla riforma della Musica sacra nel corso del Suo pontificato. Tutte dovranno essere oggetto di approfondimento in un prossimo contributo.

Il deterioramento delle condizioni di salute e, soprattutto l’angoscia provata all’annunzio dell’inizio della guerra europea, che di lì a poco sarebbe diventata mondiale, fiaccarono la fibra di Pio X che spirò alle ore 1, 16 del 20 agosto 1914. La sua salma venne tumulata nelle grotte vaticane dove restò fino alla cerimonia della sua beatificazione del 1951 quando collocata sotto l’altare della cappella della “Presentazione” nella basilica di San Pietro.

I principi codificati nel Motu proprio “Tra le sollecitudini” hanno guidato la prassi musicale nelle Cappelle musicali, nei Seminari, negli Istituti religiosi, nelle Corali parrocchiali, nei Congressi nazionali e regionali, e nella partecipazione dei fedeli fino al Concilio Vaticano II. Nei decenni anteriori al Concilio, gli interventi di Pio XI e Pio XII hanno sviluppato e adeguato alle esigenze dei loro tempi i concetti di Pio X.

In particolare Pio XII nella sua enciclica Musicae sacrae disciplina (25 dicembre 1955) aveva sottolineato che «Si può affermare a buon diritto che è stato il Nostro Predecessore di immortale memoria San Pio X a compiere una organica restaurazione e riforma della musica sacra, inculcando nuovamente i principi e le norme tradizionali ed opportunamente riordinandoli secondo le esigenze dei tempi moderni»” (9).

La stessa Costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II, pur avendo esteso al popolo l’azione di protagonista del canto, non ha abolito i fondamenti della Musica sacra indicati dal papa Sarto. Riprendendo infatti il concetto basilare del Motu proprio, il n. 112 del Capitolo VI afferma che «La tradizione musicale di tutta la Chiesa costituisce un patrimonio di inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell’arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria e integrante della liturgia solenne».

Nei tempi più recenti il papa Giovanni Paolo II, commemorando il centenario del Motu proprio di Pio X col suo Chirografo del 22 novembre 2003, dopo aver sottolineato i punti fondamentali di quel documento, auspicava che si potesse raggiungere presto, «grazie al concorde impegno dei pastori d’anime, musicisti e fedeli, quello che il vero fine della musica sacra, cioè “la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli».


II


Salito al soglio pontificio il 4 agosto 1903, Pio X si trovò a dover affrontare subito varie complesse questioni tra cui quelle riguardanti la riforma della Musica sacra rimaste pendenti, come la cosiddetta questione gregoriana, cioè la scelta di una nuova edizione di libri di canto sacro; e contestualmente la ricostituzione dell’Associazione Italiana Santa Cecilia per la organizzazione delle conseguenti attività. La soluzione di queste due questioni l’avrebbe portato in seguito a progettare altre iniziative ad esse collegate.

1) Il Motu proprio: «Tra le sollecitudini»

Prima, però, era necessario redigere una sorta di “carta costituzionale” di tutta la materia della Musica Sacra a cui attenersi.

In questa azione decisa di riforma della Musica sacra il gesuita Angelo De Santi poté collaborare con il Papa che gli era stato amico fino da quando era vescovo di Mantova; e poté farlo liberamente perché era venuto a mancare (il 22 novembre 1902) il cardinale Gaetano Aloisi Masella, che per sostenere una diversa concezione della “Musica sacra” nel 1894 l’aveva costretto a lasciare Roma e gli aveva proibito di pubblicare scritti che trattassero della riforma della musica liturgica.

Per la verità il primo suggerimento al Papa, in ordine alla emanazione di una circolare per regolare la musica sacra nella diocesi di Roma lo aveva dato il cardinale vicario Pietro Respighi il 18 ottobre 1903, a sua volta accogliendo le richieste del nipote monsignor Carlo Respighi, cerimoniere pontificio. Ad un iniziale cenno di assenso da parte del Papa, monsignor Respighi aveva stilato una bozza del testo di una lettera circolare che aveva fatto esaminare dall’amico Angelo De Santi il quale, però, la disapprovò, perché altro aveva in mente. Qualche tempo dopo, il 20 novembre, il De Santi scrisse al segretario particolare del Papa monsignor Giovanni Bressan, perché ricordasse al Papa il “Voto” che nel 1893, quando era Patriarca di Venezia, aveva inviato alla Congregazione dei Riti, consistente in un progetto di riforma dal quale lo stesso Patriarca aveva desunto i concetti per la “Lettera pastorale” al clero veneziano del 1° maggio 1895. Questo testo - suggeriva il De Santi a monsignor Bressan - nella sua interezza o anche soltanto la parte terza, intitolata “Istruzione per la Musica Sacra”, poteva essere promulgato con autorità pontificia.

Monsignor Bressan riferì il suggerimento del De Santi e il Papa, rimasto persuaso, dopo aver fatto qualche leggera modifica, che riguardò anche la eliminazione dell’art. 29, promulgò subito, con Motu proprio, il testo di quella terza parte facendola precedere dall’introduzione Tra le sollecitudini dell’officio pastorale. Il documento portò la data del 22 novembre 1903, festa di Santa Cecilia, ma è probabile che sia stato perfezionato qualche giorno dopo. La notizia del Motu proprio pontificio si sparse subito provocando soddisfazione ed esultanza tra i riformatori già prima che fosse dato alle stampe su “L’Osservatore Romano” il martedì 29 dicembre 1903.

Quel documento, che lo stesso Pontefice definì “codice giuridico della Musica Sacra”, comprendeva 29 articoli divisi in 9 paragrafi in cui definiva i generi e le forme dell’arte più idonei ad essere ammessi nel culto .

Già l’esordio conteneva una dichiarazione qualificante: “La Musica sacra è parte integrante della liturgia solenne”. Le qualità che doveva possedere erano indicate nella sacralità (che esclude ciò che è legato alla profanità), nella bontà delle forme (cioè arte vera di provati musicisti), nella universalità (riconoscibile come preghiera cantata anche da ogni popolo e lingua).

Stabiliti questi principi, il Motu proprio indicava il Canto gregoriano come canto proprio della Chiesa Romana in quanto possedeva in sommo grado le tre qualità suesposte; di conseguenza esso doveva essere considerato il supremo modello della musica sacra, specificando che «tanto una composizione per chiesa è più sacra e più liturgica, quanto più nell’andamento, nell’ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quando più da quel supremo modello si riconosce difforme» (art. 3). Ad anticipare quanto il Concilio Vaticano II avrebbe ampliato e codificato, lo stesso art. 3 raccomandava che si procurasse di diffondere il canto gregoriano nell’uso del popolo, affinché i fedeli prendessero di nuovo parte più attiva all’officiatura ecclesiastica, come si usava anticamente.

Veniva indicato idoneo ad essere usato nella liturgia anche il genere della Polifonia, in particolare quello della scuola romana, in quanto «assai bene si accosta al supremo modello di ogni musica sacra», giacché traeva la linea melodica dal canto gregoriano (art. 4).

Inoltre il documento pontificio considerava la possibilità di accogliere le composizioni moderne che favorissero il progresso delle arti in base al principio per cui «si ammette a servizio del culto tutto ciò che il genio ha saputo trovare di buono e di bello nel corso dei secoli, salve però le leggi liturgiche» (art. 5).

Oltre a questo il Motu proprio analizzava i temi del Testo liturgico (art. 7-9), dell’Organo e altri strumenti ammissibili (art. 15-21), dei Seminari (art. 25-26), delle Scholae cantorum (art. 27) e delle Scuole superiori di Musica Sacra (art. 28) (10).

2) La questione gregoriana

La querelle sulle melodie gregoriane da adottare nelle chiese risaliva all’ultimo trentennio del XIX secolo allorché la Sacra Congregazione dei Riti, il 12 gennaio 1871, aveva autorizzato l’editore ratisbonese Federico Pustet a pubblicare la ristampa di una precedente edizione del Graduale de Sanctis e del Graduale de Tempore, edita a Roma nel 1614-1615 presso la stamperia del cardinale Francesco DÈ Medici (denominata appunto per questo “medicea”) dichiarandola “autentica” e concedendo all’editore un privilegio di stampa trentennale. La nuova edizione fu curata da Franz Xaver Haberl, direttore della Scuola Superiore di Musica Sacra di Ratisbona, il quale sosteneva che l’edizione medicea vantava la revisione, prima del 1594, di Pier Luigi da Palestrina e di Annibale Zoilo. Per questi motivi tali libri di canto erano stati adottati fin dal 1874 nella stessa Scuola Superiore e poi in un gran numero di chiese e di monasteri.

In quegli stessi anni alcuni monaci benedettini di Solesmes, che da tempo conducevano studi filologici e paleografici su melodie tramandate da codici medievali, si resero conto che nella edizione medicea del Graduale quelle stesse melodie erano state trascritte in modo non fedele, e talora in forme accorciate e contraffatte. Di ciò essi resero conto con pubblicazioni scientifiche corredate da fotografie di codici antichi, guadagnandosi un folto gruppo di sostenitori delle loro asserzioni che affermavano la necessità di una revisione filologica come proposta dai monaci di Solesmes. Da qui ebbe origine ovviamente una accesa diatriba con i sostenitori dell’altra scuola.

In questo clima culturale (e non solo), don Guerrino Amelli, che nel 1880 aveva fondato l’Associazione Italiana Santa Cecilia, nel 1882 progettò un Congresso europeo di canto liturgico da tenersi ad Arezzo, in coincidenza con l’inaugurazione che si sarebbe fatta di un monumento a Guido Monaco. Lo scopo non dichiarato del Convegno era di tentare un compromesso tra i sostenitori delle due diverse posizioni, ma alla fine sembrò che prevalessero i consensi a favore delle edizioni solesmensi.

Questo indusse l’editore Pustet a farsi sentire in difesa del suo privilegio trentennale minacciando azioni legali nei confronti della Congregazione dei Riti che fu costretta ad emettere un decreto (Romanorum Pontificum) il 23 aprile 1883 in difesa dell’edizione ratisbonese, rimandando ogni innovazione all’esito di ricerche più approfondite.

Quando De Santi intraprese a sostenere la Riforma con le sue pubblicazioni su “La Civiltà Cattolica” dal 1887, propendeva per riconoscere valide le melodie di Ratisbona, tanto che nel 1888 tradusse in italiano il Magister Choralis, un manuale di canto, di Haberl edito da Pustet; ma cambiò opinione quando poté vedere con i propri occhi le melodie dei monaci di Solesmes, corredate di fotografie.

Questo lo mise in contrasto con Haberl e col cardinale Aloisi Masella, Prefetto della Congregazione dei Riti, con le conseguenze che si è detto. A lui venne attribuito poi di aver suggerito a Leone XIII di non rinnovare il privilegio di stampa trentennale all’editore Pustet alla sua scadenza del 12 gennaio 1901, e di aver sollecitato il breve pontificio Nos quidem (17 maggio) in favore delle edizioni solesmensi. A favore delle quali nel 1902 Carlo Respighi e Angelo De Santi intrapresero la pubblicazione del periodico “Rassegna Gregoriana”, da loro diretta.

La differenza di vedute non si appianò del tutto nemmeno dopo la morte del cardinale Aloisi Masella (22 novembre 1902), poiché i sostenitori dell’edizione “Medicea” vantavano che essa sarebbe stata revisionata dal Palestrina.

Questa volta furono in posizioni opposte Carlo Respighi e Franz Xaver Haberl, due personaggi di pari capacità e conoscenze, e questo ebbe come conseguenza che la questione gregoriana rimase congelata fino all’elezione del cardinale Giuseppe Sarto al soglio pontificio.

Le intenzioni del nuovo papa Pio X a riguardo della “questione gregoriana”, come si è già accennato, furono codificate nel suo Motu proprio Tra le sollecitudini del 1903 laddove al paragrafo 3° affermava che «il canto gregoriano è il canto proprio della Chiesa Romana, il solo che essa abbia ereditato dagli antichi padri, […] e che gli studi più recenti hanno sì felicemente restituito alla sua integrità e purezza».

Una delle prime occasioni per approfondire l’argomento fu la celebrazione del XIII centenario della morte di San Gregorio Magno (604-1904) fissata a Roma nei giorni 6-14 aprile 1904. L’imponente programma, esteso a tutte le regioni d’Europa, prevedeva il culmine delle feste col pontificale del Papa in San Pietro il giorno 11 aprile. Nelle giornate congressuali fu annunciato che il Papa aveva deciso di procedere verso un’edizione vaticana dei libri corali. Per questo vennero formate, con un nuovo Motu proprio in data 25 aprile 1904, due Commissioni di dieci persone ciascuna, una effettiva, l’altra consultiva, le cui sedute si protrassero dal 29 aprile al 27 giugno 1904.

Ma ora un forte contrasto sorse tra gli stessi monaci benedettini a proposito delle melodie: Joseph Pothier, abate di Wandrille, presidente della Commissione sosteneva che le melodie antiche dovevano essere surrogate dalla tradizione vivente, invece André Mocquereau monaco di Solesmes sosteneva il ritorno puro e semplice alla tradizione codificata nei manoscritti. A tali diatribe si aggiunse anche quella sui “segni ritmici” sicché in tutte queste questioni si perdeva molto tempo prezioso, mentre il Papa voleva giungere più presto possibile al varo delle edizioni.

Finalmente la Commissione tra il 1905 e il 1912 propose che fosse lasciata alla discrezione della Congregazione dei Riti la pubblicazione di alcuni libri tra i quali il “Kyriale”, “Graduale romanum”, “ Officium defunctorum”, “Antiphonarium Romanum”.

Nel 1912 la Commissione venne sciolta senza che tutto venisse chiarito e definito, sicché la “questione gregoriana” rimase sospesa fino ai nostri giorni. La Costituzione “Sacrosanctum Concilium” (1963) del Concilio Vaticano II al paragrafo 17 raccomandò che si conducesse a termine l’edizione tipica dei libri di canto gregoriano e specificamente si preparasse una edizione più critica dei libri già editi dopo la riforma di San Pio X.

3) La ricostituzione dell’Associazione Italiana Santa Cecilia

Quella “Generale Associazione Italiana di Santa Cecilia”, fondata da don Guerrino Amelli il 4 settembre 1880 a Milano, mutuando lo Statuto di una analoga associazione già esistente in Germania e già approvato dal papa Pio IX con la Costituzione apostolica «Multum ad movendos animos» (16 dicembre 1870), dopo che il fondatore, nel 1885, si era ritirato nel monastero di Montecassino dove assunse il nome di Ambrogio Maria andò perdendo incisività. Per coordinare le iniziative tra i ceciliani Giuseppe Terrabugio rilevò la proprietà del periodico “Musica Sacra” di Milano, ma non ottenne risultati apprezzabili.

Tanto che il 14 settembre 1889 il padre Angelo De Santi e don Antonio Bonuzzi videro la necessità di radunare i vecchi aderenti all’Associazione in una “Adunanza” svolta a Soave (VR) e dove costituirono un “Comitato permanente per la Musica sacra in Italia” col proposito di preparare un congresso nazionale in cui si sarebbero ratificate le proposte. Intanto il periodico “Musica Sacra” pubblicava il “Programma di azione del Comitato” e papa Leone XIII, conosciuti gli atti del convegno, incoraggiava la prosecuzione dell’iniziativa. Da quel momento il De Santi, proprio in conseguenza del discorso programmatico tenuto nell’Adunanza di Soave, divenne la guida morale del movimento.

Nel 1894 l’avversione al movimento riformatore spinse il cardinale Aloisi Masella a inserire nel nuovo “Regolamento per la Musica Sacra” la proibizione di organizzare congressi a carattere nazionale. In ossequio a questo divieto o piuttosto per dare una clamorosa risposta al Regolamento, quello stesso anno, durante il Congresso di Parma organizzato per le celebrazioni del III centenario della morte di Pier Luigi da Palestrina, l’intera presidenza del Comitato permanente e la stessa redazione del periodico “Musica Sacra” rassegnarono le dimissioni.

Tale decisione non passò inosservata, anzi provocò significativi commenti tanto più che fu seguita anche dall’allontanamento di De Santi da Roma con le proibizioni a cui si è accennato all’inizio. Il movimento ceciliano tuttavia in qualche modo sopravvisse grazie alle “Società regionali di San Gregorio Magno” istituite nel Veneto e in Lombardia.

La elezione del papa Pio X fece risorgere le speranze e rinvigorì i propositi. Preparato per iniziativa del periodico “Santa Cecilia” di Torino, nei giorni 6-8 giugno 1905 si svolse presso la casa dei Salesiani di Valdocco un convegno regionale piemontese dei ceciliani che per la massiccia partecipazione assunse la connotazione di convegno nazionale. Tra i vari argomenti all’ordine del giorno ci fu anche quello di ricostituire l’Associazione Italiana Santa Cecilia. Alcuni dei presenti vennero incaricate di preparare una bozza di Statuto per sottoporla all’esame del Papa e chiedere a lui, per quella sola volta, la cortesia di nominare le cariche sociali valevoli un triennio. A Torino non furono presenti né De Santi, né Perosi impegnati in altre attività.

Il 1° luglio 1905 il Papa, dopo aver esaminato e in parte integrato gli Statuti, nominò presidente dell’Associazione don Guerrino Amelli ora padre Ambrogio Amelli, vice presidenti Angelo Nasoni e Carlo Maria Baratta, segretario Marcello Capra, direttore del periodico “Santa Cecilia”. La nomina di Amelli a presidente, dopo venti anni dalle sue dimissioni, significava per il Papa la continuazione della precedente Associazione approvata da Pio IX. Con la data del 22 novembre 1905, festa di Santa Cecilia, Amelli dette vita al periodico “Bollettino Ceciliano” con sede redazionale a Montecassino dove egli risiedeva.

Il successivo Congresso nazionale, questa volta organizzato dall’Associazione Santa Cecilia, si svolse a Milano nei giorni 8-10 ottobre 1906 con grande numero dei partecipanti che espressero al Santo Padre il desiderio di avere un cardinale protettore dell’Associazione, e il Papa il 5 novembre nominò protettore il cardinale Mariano Rampolla.

Nel primo triennio la rinata Associazione non incontrò gravi difficoltà fu troppo felice perché Amelli, gravato da molteplici occupazioni, non poté dedicarsi al nuovo incarico quanto sarebbe stato necessario, e ancor più perché si vollero organizzare numerosi Congressi regionali. Ad un certo punto si paventò una nuova crisi dell’Associazione.

Allo scadere del triennio per procedere alla nomina delle cariche sociali, si organizzò un Congresso Nazionale a Pisa nei giorni 17-20 ottobre 1909 sotto la presidenza del locale arcivescovo cardinale Pietro Maffi (11), (negli stessi giorni e nello stesso luogo si svolse anche il Congresso regionale toscano).

I ceciliani presenti, solamente 48 a causa della coincidenza di altri raduni regionali, furono unanimi nell’eleggere presidente dell’Associazione nazionale il padre Angelo De Santi, cosa gradita ai suoi superiori e in particolare al papa Pio X.

Il nuovo presidente, non per suo comodo, ma per rendere più efficiente la gestione del suo incarico trasferì la sede dell’Associazione a Roma in via Ripetta n. 246, nel palazzo della Compagnia di Gesù di cui faceva parte. Anche il “Bollettino Ceciliano” da allora venne stampato nella tipografia dei Gesuiti (12).

4) Il nuovo regolamento della Cappella Sistina

Lorenzo Perosi, nominato Direttore perpetuo della Cappella Sistina, a fianco dell’anziano Domenico Mustafa’ (1898), per prima cosa si adoperò per allestire un gruppo di “voci bianche” da unire alle voci virili della Cappella, così come aveva fatto nella Cappella Musicale di San Marco a Venezia. Inoltre, con l’aiuto di De Santi, presentò al Papa la bozza di un nuovo Regolamento con il quale si stabiliva che l’organico della Cappella Sistina comprendesse il Maestro direttore, un vice Maestro con incarico di istruire i ragazzi, 2 Tenori primi, 2 Bassi, 3 Tenori secondi, 3 Bassi secondi, 3 Tenori e 3 Bassi soprannumerari, 30 ragazzi e un segretario archivista; 49 persone in tutto.

Pio X, con un Motu proprio in data 20 giugno 1905 presentò ufficialmente il Regolamento della Cappella Sistina con le istruzioni per il suo funzionamento.

5) La Scuola Superiore di Musica Sacra in Roma

Appena eletto nel Congresso di Pisa (1909), De Santi pose mano a realizzare un suo antico e ripetutamente auspicato progetto di istituire una Scuola Superiore di Musica Sacra, strumento indispensabile per la formazione dei futuri compositori, direttori di coro e organisti, come già esisteva a Malines e a Ratisbona.

Il Papa stesso nel Motu proprio del 1903 aveva riconosciuto l’importanza del fatto che la Chiesa stessa provvedesse all’istruzione dei suoi maestri, organisti e cantori secondo i riconosciuti principi dell’arte (13).

Così per tutto l’anno 1910 De Santi a lungo e con cura cercò un ambiente adatto per la Scuola e lo trovò presso il Collegio dei Figli dell’Immacolata in via del Mascherone. Stabiliti i programmi scolastici e scelto il personale docente, De Santi con la benedizione del Papa, il 5 gennaio 1911 poté inaugurare la “Scuola Superiore di Canto gregoriano e Musica Sacra”.

Essa fu la prima importante iniziativa nel programma di riforma dell’Associazione Italiana Santa Cecilia, finanziata dapprima con i bilanci della stessa Associazione. Il cardinale protettore della Scuola fu lo stesso dell’Associazione, cioè Mariano Rampolla.

Pio X, prima di pronunciarsi, volle attendere la fine del primo anno scolastico e, all’inizio del secondo anno, inviò al cardinale protettore il Breve Expleverunt desiderii Nostri del 4 novembre 1911 per compiacersi del primo risultato di quella Scuola ed incoraggiarne il proseguimento.

Per sollevare l’Associazione Santa Cecilia dal peso finanziario della Scuola divenuto di gran lunga superiore alla sue possibilità, Pio X, in data 10 luglio 1914, distinse col il titolo di “Pontificia” la Scuola Superiore di Canto gregoriano e Musica sacra con facoltà di consegnare pubblici diplomi di idoneità, di licenza e di magistero in Canto gregoriano, in Composizione e in Organo. A 40 giorni dalla morte, questo fu l’ultimo dono del papa Pio X per la sua creatura.

 

 

 


NOTE

(1) Baggiani F., San Pio X, "Lorenzo Perosi e l’Associazione Italiana Santa Cecilia artefici della riforma della Musica sacra in Italia agli inizi del secolo XX", Pisa, ETS, 2003.

(2) Sarto G., "Canti per la Settimana Santa", Ediz. Carrara Bergamo, 2006. Si tratta di 21 piccole composizioni di canti a voci virili (per seminaristi) in gran parte per la Settimana Santa composte dal chierico Giuseppe Sarto. Il manoscritto è custodito nella Biblioteca musicale del Seminario Patriarcale di Venezia.

(3) Don Jacopo Tomadini fu tra i fondatori della Generale Associazione Italiana di Santa Cecilia (1880) e il più esperto in composizione musicale del momento. Il Tomadini insieme a don Guerrino Amelli fin dal 1877 avevano dato vita al periodico “Musica Sacra. Rivista liturgico-musicale per la restaurazione della musica sacra in Italia” (Milano, anno I, n. 1, 15 maggio 1877).

(4) Biblioteca del Seminario Patriarcale di Venezia, Opera dei Congressi, fasc. n. 1.

(5) Al Congresso di Milano venne iscritto l’intero Capitolo della cattedrale di Treviso come “aderente ( “Musica Sacra", 1882, n. 8-9, cnn).

(6) Il valore di tale insegnamento può essere dedotto anche oggi dal Metodo teorico-pratico di Canto gregoriano che il Bonuzzi dette alle stampe nel 1894 presso la Stamperia di San Pietro a Solesmes.

(7) "Constitutiones ab Ill.mo et Rev.mo Josepho Sarto santae mantuane ecclesiae episcopo promulgatae in Synodo dioecesana mesnis septembris habita", Mantova, Apollonio, 1888, cap. XXXI, pp. 99-101.

(8) "Lettera Pastorale sulla Musica Sacra dell’em.o cardinale Giuseppe Sarto Patriarca di Venezia, ora Pio P.P. X, al venerando Clero del Patriarcato", Roma, Desclée, Lefebvre e C., 1904.

(9) "Musicae sacrae disciplina", prf. 8.

(10) Il testo del Motu proprio “Tra le sollecitudini” di Pio X (1903) è riportato in “Bollettino Ceciliano”, anno XCVIII, n. 1, pp. 5-12.

(11) “Tra le sollecitudini” (1903), fu riporta l’importante prolusione del cardinale Maffi, dal titolo "Le ragioni della Musica Sacra", incentrata sul Motu proprio ta sul “Bollettino Ceciliano”, V (1910), n. 2-3, pp. 41-50 e sul medesimo periodico del 1959, n. 8-9- , p. 197.

(12) De Santi pubblicò sul primo numero del “Bollettino Ceciliano” del 1910, p. 8,. un articolo programmatico su “Associazione Santa Cecilia. Propositi”.

(13) Motu proprio “Tra le sollecitudini”, art. 28.


 

(Fonte: chiesa.espressonline.it)