Pio X e l'antimodernismo

Opinioni & Notizie su Pio X

(Documento presente nel sito dell'Università di Bergamo)

 

CathedralOfDenverStemma papale di Pio X, presente nella cattedrale di DenverGiuseppe Sarto – Pio X

Giuseppe Sarto nasce a Riese (Tv) nel 1835, secondo di dieci figli di una famiglia modesta. Dopo aver studiato nel seminario di Padova, viene ordinato prete nel 1858 e nominato cappellano. Nel 1867 è promosso arciprete di Salzano e nel 1875 canonico della cattedrale di Treviso, cancelliere vescovile e direttore spirituale nel seminario diocesano. Nel 1884 è eletto a vescovo di Mantova, nel 1893 passa alla sede patriarcale di Venezia. Alla morte di Leone XIII, il 4 agosto diventa papa con il nome di Pio X e con il motto “Instaurare omnia in Christo”. Muore il 20 agosto 1914.

 

I primi interventi romani

Già nell’enciclica programmatica E supremi apostolatus, del 1903, Pio X dichiara di voler vigilare affinché il clero non subisca l’influsso negativo della nuova scienza. Negli anni successivi gli interventi si intensificano e si inaspriscono. Nel luglio 1906, con l’enciclica Pieni l’animo, diretta ai vescovi d’Italia, Pio X lamenta che “l’atmosfera di veleno” diffusa nella società stia penetrando all’interno della Chiesa e rischia di corrompere una buona parte del clero, soprattutto i preti più giovani.

Pertanto il papa proibisce l’adesione del clero e dei seminaristi a qualsiasi associazione che non dipenda dalle autorità ecclesiastiche, in particolare vieta l’iscrizione alla Lega democratica nazionale che raccoglie i democratici cristiani legati a Romolo Murri. Chi non si adegua, non può essere ordinato prete o, se lo è già, viene sospeso dal ministero.

 

Il decreto del sant’Uffizio Lamentabili sane exitu (luglio 1907)

L’elaborazione del decreto Lamentabili è lunga, complessa e frutto di compromessi tra le varie anime della curia romana. Inizia con la messa all’Indice di cinque opere di Loisy, nel 1903. Il testo finale condanna 65 proposizioni, in gran parte estratte dai libri di Loisy L’Évangile et l’Église e Autour d’un petit livre, benché non siano sempre citazioni letterali. Nel testo del decreto non ricorre esplicitamente il termine “modernismo”, ma vi si fa riferimento nella sostanza.

 

L’Enciclica Pascendi Dominici Gregis (settembre 1907)

L’Enciclica è pensata come complemento e approfondimento del decreto Lamentabili, con l’obiettivo di condannare il modernismo sulla base di una riflessione teologica più complessiva. «In tutta questa esposizione della dottrina dei modernisti vi saremo sembrati prolissi. Ma ciò è stato necessario, sia per non sentirci accusare di ignorare le 2 loro cose, e sia perché si veda che, quando si parla di modernismo, non si parla di vaghe dottrine senza alcun nesso, ma di un unico corpo e ben compatto… Ora, se quasi d’un solo sguardo abbracciamo l’intero sistema, nessuno si stupirà quando Noi lo definiamo affermando essere esso la sintesi di tutte le eresie».

 

Struttura e contenuti della Pascendi

L’Enciclica è formata da tre parti: la prima di carattere dottrinale, la seconda di tipo morale, la terza dedicata alle norme disciplinari per combattere il modernismo. Per Pio X le teorie moderniste colpiscono direttamente la fede, la dogmatica, l’ecclesiologia, la filosofia, la storia della Chiesa.

  1. Sotto il profilo filosofico, per Pio X i modernisti ritengono che Dio non possa essere oggetto di scienza né può essere considerato soggetto operante nella storia. Questo rende impossibile conoscerlo con la sola ragione, contrariamente a quanto afferma il Vaticano I. Inoltre essi riducono la religione a puro sentimento interiore. La stessa figura di Gesù, che l’Enciclica chiama sempre Cristo, per i modernisti può essere studiata soltanto nella sua dimensione umana. I dogmi poi non conterrebbero verità assolute, ma vanno considerati dei simboli, essenziali alla fede, sottoposti a evoluzione.
  2. Il credente modernista è descritto come votato a una religione puramente soggettiva, fondata sull’esperienza individuale, che l’Enciclica assimila agli errori dei protestanti. Pio X respinge le conseguenze che deriverebbero da questi principi: la parificazione di tutte le religioni, la separazione, indipendenza e incomunicabilità tra la scienza e la fede. Per la teologia modernista la Chiesa e i sacramenti non sono stati istituiti direttamente da Gesù ma mediatamente. I dogmi, il culto, la Bibbia sono spiegati nella loro dimensione simbolica ed esperienziale. La Chiesa risponderebbe al bisogno di comunità dei cristiani, disciplinato sotto un’autorità che però non va pensata di natura divina.
  3. Il modernista in quanto storico restringe il campo di indagine al solo ambito dei fenomeni, in modo agnostico. Ne scaturisce la distinzione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, tra la Chiesa in quanto istituzione storica e come realtà divina ritenuta tale nell’ottica della fede.

 

Provvedimenti disciplinari della Pascendi

L’ultima parte della Pascendi indica ai vescovi, ai superiori degli ordini religiosi, agli educatori e docenti dei futuri chierici una serie di misure per sradicare la presenza modernistica:

 

Voci dissidenti nella Curia romana

Le indicazioni di Pio X contro i modernisti non trovano sempre piena accoglienza. Anche tra i vertici curiali ci sono voci diverse. Per esempio, il card. Domenico Ferrata (1847-1914), prefetto della Congregazione dei Vescovi e Regolari, approfitta del suo ufficio per azioni in difesa dei preti accusati di modernismo, contrastando le iniziative di altri dicasteri vaticani.

Ci sono divergenze di giudizio anche in ambito disciplinare, oltre che teologico. Perfino l’utilizzo della bicicletta dai parte dei preti o l’impiego di un cappello più pratico rispetto al tricorno o al saturno, sono considerati indizi di modernismo! A tale riguardo, altra voce critica è quella di mons. Bonomelli, vescovo di Cremona, che scrive al card. Ferrari: «Noi andiamo in carrozza e anche in automobile, noi Vescovi, e non vogliamo che il povero prete usi la bicicletta, cavallo suo, talora necessario per le distanze?».

 

Il giuramento antimodernistico

Con il motu proprio Sacrorum Antistitum, del settembre 1910, Pio X introduce il giuramento antimodernistico, che rimarrà ufficialmente in vigore fino al 1967.

Esso è obbligatorio per tutti i docenti, i superiori e gli educatori dei seminari e delle università cattoliche. La formula del giuramento propone in primo luogo un’adesione alla dottrina della Chiesa, in particolare alle verità più minacciate quali la conoscibilità di Dio con la sola ragione, l’intelligibilità delle prove esterne della Rivelazione (miracoli e profezie), l’istituzione divina della Chiesa, le verità della fede così come sono state formulate nei dogmi.

Il Pontefice raccomanda ai futuri sacerdoti un’accurata formazione culturale, necessaria per combattere i “nemici”. Pertanto, poiché gli studi sono già “molti e gravosi”, si dà l’indicazione di non creare distrazioni e si proibisce la lettura di qualsiasi periodico, anche se di buon contenuto.

 

I protagonisti dell’antimodernismo

Sotto la guida di Pio X, i “motori” dell’antimodernismo sono la “triade”:

  1. il Sant’Uffizio con il card. Merry del Val,
  2. la Congregazione del Concilio con il card. De Lai (1853-1928),
  3. la Congregazione dei Religiosi con il card. Vives y Tutó (1854-1913).

Inoltre la Segreteria di Stato si avvale della particolare collaborazione di mons. Umberto Benigni (1862-1934), che costituisce una vera e propria rete di spionaggio e di propaganda: il Sodalitium Pianum.

Anche il Vicariato di Roma, la “diocesi del papa”, gioca un ruolo nella lotta contro i novatori. Al card. Respighi si devono alcuni interventi antimodernistici come la condanna de Il programma dei modernisti (1907), la proibizione del periodico Nova et vetera e della Rivista di cultura, con la comminazione della sospensione a divinis agli abbonati. Però alcune figure del Vicariato, come mons. Faberj, operano nel senso di limitare i danni dell’antimodernismo.

 

Le visite apostoliche

In Italia la repressione antimodernistica è resa ancora più capillare grazie alle visite apostoliche che consistono nell’invio di un delegato papale per un’ispezione di una diocesi o di un seminario. Segue la stesura di una relazione che poi la Curia romana esamina, emanando eventuali provvedimenti disciplinari approvati dal papa.

Le visite apostoliche ribadiscono la natura gerarchica dei rapporti tra la Santa Sede e le diocesi, accentuando lo squilibrio già esistente tra il ministero petrino e la collegialità episcopale. Responsabile di organizzare e di svolgere le visite apostoliche è la Congregazione del Concilio, con a capo il card. De Lai veneto come Pio X e da questi molto stimato.

Un caso emblematico di tali visite è quella svolta nella diocesi di Cremona, guidata da mons. Bonomelli, nell’estate del 1905, da parte di Rinaldo Rousset, generale dei carmelitani scalzi.

 

Benedetto XV e la conclusione del modernismo

Benché gli effetti dell’antimodernismo si siano prolungati nel tempo, la stagione vera e propria del modernismo si chiude con la fine del pontificato di Pio X e l’inizio della Grande Guerra. Ciò non toglie che la problematica modernistica, in senso lato, cioè la questione dell’adeguamento del cattolicesimo alla cultura e alla società moderne, si sia spesso riproposta nei decenni successivi, fino a oggi, anche se con prospettive sempre diverse.

Alla morte di Papa Sarto, viene eletto come pontefice l’arcivescovo di Bologna, Giacomo Della Chiesa, che assume il nome di Benedetto XV e sceglie come segretario di Stato il card. Gasparri, uomo più conciliante. Egli assume posizioni di moderata apertura culturale ed è estraneo alle esasperazioni antimodernistiche del suo predecessore. Tuttavia fa seguire la conferma della condanna del modernismo in tutta la sua ampiezza e mantiene le misure disciplinari varate a suo tempo.

 

L’onda lunga dell’antimodernismo

I fautori della lotta antimodernista risultano ora meno potenti, anche se sempre inseriti in ruoli chiave della Curia romana. L’antimodernismo continua a 5 caratterizzare alcuni ambienti della Chiesa. Per esempio, l’accreditato periodico dei gesuiti “La Civiltà cattolica”, ripropone nuovi attacchi contro i riformisti, colpendo soprattutto Fracassini e Buonaiuti. Nel 1918 la celebrazione del 25° anniversario dell’Enciclica Providentissimus Deus di Leone XIII, offre l’occasione per rinnovare gli attacchi alla École biblique di padre Lagrange.

 

Pio XI e una nuova dimensione del modernismo

Già nell’Enciclica programmatica Ubi arcano del dicembre 1922, Pio XI denunzia l’esistenza di un nuovo tipo, «una specie di modernismo morale, giuridico, sociale… non meno condannabile del noto modernismo dogmatico». Papa Ratti prende di mira lo Stato laico, un modello di organizzazione delle istituzioni civili.

Anche nell’Enciclica Studiorem ducem del 1923, per celebrare il VI centenario della canonizzazione di Tommaso d’Aquino, Pio XI accenna al modernismo filosofico, teologico, esegetico e morale.

Nei primi anni di pontificato di Pio XI continua l’attività inquisitoriale romana con una rinnovata ondata repressiva che colpisce studiosi di fama come Bardy, Sertillanges, Gardeil. Nel 1924 Buonaiuti è di nuovo colpito dalla scomunica e privato dell’abito ecclesiastico.

 

Pio XII e gli studi biblici

Negli anni Trenta si attenuano gli interventi di Pio XI contro il modernismo: va però ricordata la condanna del Sant’Uffizio dei Mémoires di Loisy nel 1932. Superata la seconda guerra mondiale, Papa Pacelli si occupa direttamente di un campo molto caro ai modernisti: gli studi Biblici. Con l’Enciclica Divino afflante spiritu Pio XII incoraggia a proseguire le ricerche in campo biblico in una prospettiva che, pur recependo non poche istanze della moderna esegesi storico-critica, continua a proporre una spiegazione del testo biblico in totale accordo con l’insegnamento della Chiesa, nel tradizionale convincimento della immunità della Bibbia da ogni errore.

 

Una crisi neomodernista?

In campo teologico Pio XII critica, riprendendo in modo puntuale le tesi della Pascendi, la “nouvelle théologie” che mira a un rinnovamento contenutistico e metodologico della teologia. In particolare, nel 1947, con l’Enciclica Mediator Dei, denuncia una serie di errori teologici (un “falso” misticismo, un “nocivo” quietismo e un “pericoloso” umanesimo). Ma è soprattutto con l’Enciclica Humani generis del 1950 che, senza menzionare esplicitamente il modernismo, Pacelli condanna il relativismo dogmatico, l’immanentismo, l’evoluzionismo, l’esistenzialismo, le critiche alla concezione gerarchica della Chiesa. Pio XII sembra alludere a una forma di “neomodernismo”. D’altra parte, giunge a conclusione anche la causa di canonizzazione di Pio X, il papa della condanna del modernismo. Nel discorso in occasione della 6 beatificazione, nel 1951, Pio XII ne ripercorre così la figura: «difensore della fede, araldo della verità eterna, custode delle più sante tradizioni».

 

Preoccupazioni antimodernistiche tra i padri del Vaticano II e in Paolo VI

Circa 500 vescovi cattolici presenti al Vaticano II, condizionati dalla linea teologica di Pio XII, nei vota in vista del Concilio denunciano la presenza di un neomodernismo o chiedono una nuova condanna.

Paolo VI nel corso del suo pontificato ribadisce con una certa insistenza l’attualità del problema del modernismo. Nell’Enciclica Ecclesiam suam del 1964, vi fa riferimento dentro un’affermazione sull’influsso del progresso scientifico, tecnologico e sociale sulla Chiesa: «Non fu, ad esempio, il fenomeno modernistico, che tuttora affiora in vari tentativi di espressioni eterogenee all’autentica realtà della religione cattolica, un episodio di simile sopraffazione delle tendenze psicologico-culturali, proprie del mondo profano, sulla fedele e genuina espressione della dottrina e della norma della Chiesa?».

E nell’udienza generale del 4 novembre 1964 aggiunge: «Tutti possono accorgersi che si è diffusa un po’ dappertutto la mentalità del protestantesimo e del modernismo, negatrice del bisogno e dell’esistenza legittima di un’autorità intermedia nel rapporto dell’anima con Dio».

E il 5 settembre 1974: «Il nuovo, purché sganciato dai vincoli, interni ed esterni, della tradizione normativa, è apparso coincidere con il buono, con il meglio… Se questo processo di decadenza modernista dovesse procedere? Estendersi alle strutture della Chiesa? Ai suoi impegni dottrinali e morali?».

Da questi accenni si ricava che Paolo VI ritenga ancora non del tutto risolto il problema del modernismo.

 

Giovanni Paolo II e la messa in guardia verso un’apertura indiscriminata alle istanze della cultura contemporanea

Giovanni Paolo II accenna al modernismo in due passi dell’Enciclica Fides et ratio (1998). Nel primo caso la citazione riguarda la “tentazione razionalistica”: «Anche nel nostro secolo il magistero è ritornato più volte sull’argomento mettendo in guardia contro la tentazione razionalistica. È su questo scenario che si devono collocare gli interventi del papa san Pio X, il quale rilevava come alla base del modernismo vi fossero asserti filosofici di indirizzo fenomenista, agnostico e immanentista».

Nel secondo caso la Fides et ratio introduce un collegamento tra lo storicismo e una forma peculiare di modernismo, per respingere la tendenza a una specie di “progressismo culturale” che attribuirebbe acriticamente all’attualità una patente di verità: «Nella riflessione teologica, lo storicismo tende a presentarsi per la più sotto una forma di “modernismo”. Con la giusta preoccupazione di rendere il discorso teologico attuale e assimilabile per il contemporaneo, ci si avvale soltanto degli asserti e del gergo filosofico più recenti, trascurando le istanze critiche che, alla luce della tradizione, si dovrebbero eventualmente sollevare. Questa forma di modernismo, per il fatto di scambiare l’attualità per la verità, si rivela incapace di soddisfare le esigenze di verità a cui la teologia è chiamata a fare risposta».

 

Il modernismo oggi

La letteratura teologica e storiografica attuale ritiene che il modernismo abbia sollevato problemi reali del cattolicesimo nel contesto della “modernità”, istanze critiche e questioni che rimangono aperte e che non hanno trovato soluzioni soddisfacenti.

Inoltre è opinione comune che i modernisti non abbiano fornito strumenti e concetti adeguati alla soluzione dei problemi posti (nozione di “esperienza”, idea di “sviluppo o evoluzione” del dogma e quindi di tradizione) e pertanto avrebbero lasciato in sospeso le questioni.

Da parte sua, il magistero sarebbe intervenuto con atteggiamento dottrinale e autoritario, lontano dalla reale portata delle questioni poste.

La crisi modernista coglie un’istanza fondamentale: la mediazione culturale della fede. A tale riguardo, è opinione di alcuni studiosi che il modernismo abbia lasciato in eredità un’ingenua dissociazione tra linguaggio e oggetto, mediazione culturale e realtà intesa. La domanda cruciale può essere posta così: per credere bisogna legare la rivelazione a una certa immagine antica del mondo, connessa a una modalità mitologica dell’esperienza? Oppure è possibile dare nuovi significati a quei racconti, adeguandosi alla mentalità scientifica moderna? La soluzione modernista starebbe qui in una ingenua dissociazione tra rappresentazione arcaica (superabile) e contenuti essenziali (ma talvolta un po’ indeterminati) da credere.

 

Punti di contatto tra le sensibilità modernista e quella contemporanea

L’attuale situazione culturale, segnata dalla “svolta pluralistica” in un contesto sociale multietnico e multi religioso, riprende alcuni temi maggiori della crisi modernista: l’esperienza religiosa, l’autonomia dell’indagine scientifica, la lettura neutra delle fonti della fede e la questione dell’appartenenza alla Chiesa e alla tradizione credente quale orizzonte più o meno adeguato di comprensione delle verità di fede. Anche oggi si parte dalla percezione di una distanza tra cultura ambiente e visione di fede; tale percezione di partenza genera la ricerca di nuovi approcci a ciò che è essenziale nel cristianesimo, al di là dei dogmi tradizionali; tale essenza è rinvenuta in un’esperienza religiosa universale, che lascia spazio all’approccio scientifico “neutrale laico” ai fenomeni dell’esperienza e alle stesse fonti della fede, fino a mandare in crisi il senso dell’appartenenza alla Chiesa come luogo di identità.

 

Esperienza religiosa e rivelazione

L’istanza di ripensare la rivelazione/fede alla luce dell’esperienza è tornata con prepotenza di attualità nell’ambito della “teologia del pluralismo religioso”. 8 Ritorna con forza l’esigenza di cercare il principio di intelligibilità delle verità di fede non in una qualche pretesa rivelazione dall’alto, esclusiva e autoritaria, ma nelle forme parziali e quindi molteplici dell’esperienza religiosa universale. Tale esperienza religiosa è colta peraltro nella sua specificità e originalità, che la rende irriducibile alla ragione e ad altre dimensioni della vita. La via dell’incontro tra le diverse forme dell’esperienza religiosa andrebbe cercata nella direzione di una “esperienza mistica”, che sta al di là delle forme religiose parziali e quindi in una “intuizione spirituale” in cui l’uomo risponde all’appello del divino. Qui la proposta di Tyrrell o di Bremond non è molto lontana dalle riflessioni di Hick.

 

Il problema ermeneutico

Altra istanza presente nella cultura moderna, che fu colta dal fenomeno modernista e si ripresenta oggi, è la percezione dell’autonomia delle realtà terrene con la connessa esigenza di neutralità dell’approccio scientifico ad esse. In concreto, ciò significa che quell’approccio credente che legge i fenomeni alla luce della domanda radicale sulla salvezza è sentita dalla cultura attuale come pericolosa deriva fondamentalista, inadeguata e dannosa per una sana comprensione “laica” e “tecnico-scientifica” della realtà.

Durante la crisi modernista c’è stata la percezione di una certa fatica da parte della Chiesa a entrare nello spazio del dibattito pubblico con argomenti che fossero condivisibili o almeno apprezzabili da parte di una mentalità scientifica e positiva che rifugge da posizioni ideologiche pregiudiziali. Il peso dell’autorità derivata dal principio di rivelazione e quindi dalla fede appariva a molti come ingombrante, parziale e perciò non spendibile nello spazio pubblico dell’argomentazione su questioni riguardanti il bene della società. La sfida è alta: quali argomenti può mettere in campo il credente In che modo può esibire la capacità, donata proprio dalla fede, di leggere l’esperienza in modo sensato?

 

Atteggiamento antidogmatico e anticoncettuale del modernismo

Nel modernismo si riscontra una mentalità, di derivazione ultimamente kantiana secondo la quale è impossibile, anche per il magistero della Chiesa, cogliere l’essenza dei fenomeni, soprattutto di quelli storici e contingenti, in un giudizio con valenza metafisica e con pretesa ontologica. Per la mentalità modernistica la conoscenza umana non è in grado di cogliere la realtà intera. Si tratta di una specie di dogma della mentalità moderna-kantiana, che domina la cultura attuale. Ma una fede senza conoscenza certa, senza mediazione concettuale chiara ed eventualmente infallibile nei giudizi storici, è veramente in grado di mediare una Rivelazione divina definitiva e insuperabile?

 

La riflessione di Schillebeecks

In una conferenza tenuta nel 1954, il teologo olandese E. Schillebeecks individua il cuore della problematica irrisolta del modernismo nel confronto 9 sull’idea di verità tra il concettualismo scolastico e l’istanza esperienziale moderna.

«Una prima reazione radicale contro questo concettualismo fu quella del modernismo, che rimandava di preferenza al versante soggettivo, non concettuale dell’atto di fede, cioè all’esperienza religiosa o all’aspetto non concettuale che costituirebbe il grembo della fede nella Rivelazione.

«Secondo il modernismo – la cui sintesi è stata proposta da G. Tyrrell – la Rivelazione è un atto di Dio con cui il credente entra in contatto mistico. Questo contatto non include alcun aspetto di rappresentazione; la rivelazione non è una comunicazione di verità. Ciononostante questo contatto non formulato, non concettuale con il Dio che si rivela è spontaneamente espresso in una sorta di “conoscenza profetica” i cui elementi sono segnati dalla cultura del tempo…

«Per il modernismo l’esperienza religiosa che costituisce propriamente la Rivelazione è un fenomeno primitivo, sempre immutabile, sia dentro che fuori la Chiesa di Cristo. Ma l’esperienza-tipo che funge da norma è quella degli apostoli in contatto diretto con il Cristo. L’aspetto concettuale della fede serve solo da protezione per l’esperienza. I concetti di fede non sono altro che una specie di reminiscenza che traduce l’esperienza religiosa degli apostoli…

«I modernisti hanno messo in luce un problema reale: quello della distinzione innegabile tra la verità in se stessa e la verità in quanto posseduta dallo spirito umano… Il problema che i modernisti non avevano potuto risolvere – la relazione tra l’esperienza e il concetto – è rimasto nel programma dell’indagine teologica fino ai nostri giorni».

 

La lettura del modernismo da parte di K. Rahner

«Circa mezzo secolo fa, la Chiesa era minacciata dall’eresia del modernismo. Una delle sue tesi fondamentali e uno degli errori di base era costituito dal concetto di rivelazione. Per il modernismo “rivelazione” era un’altra parola per indicare lo sviluppo, necessario e immanente alla storia umana, del bisogno religioso, che si oggettiva nelle molteplici e svariate forme della storia delle religioni e cresce lentamente a più alta purezza e a più completa pienezza fino alla sua oggettivazione nella Chiesa e nel cristianesimo. Questo concetto era considerato la tesi antitetica di una concezione della rivelazione – che si supponeva tradizionale nella Chiesa – secondo cui la rivelazione è l’evento di un intervento di Dio puramente proveniente dall’“esterno”… La Chiesa rimproverò al modernismo un certo immanentismo, ma noi oggi siamo in grado di riconoscere, nella teologia comune di quel tempo, contro la quale si rivolgeva il modernismo, un concetto estrinsecista della rivelazione, che non rifletteva l’insegnamento del magistero, bensì era un presupposto irriflesso della teologia corrente».

 


Fonte: Università degli Studi di Bergamo


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