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Pio X, la Chiesa nella modernità

 

Le celebrazioni del centenario della morte di Pio X, avvenuta il 20 agosto del 1914 (il convegno che si svolgerà a Treviso e Venezia nei prossimi giorni ne è l’anticipazione) saranno, si spera, l’occasione per fare il punto su uno dei pontificati più incisivi, anche se controversi, del secolo scorso. Gli undici anni del regno di Giuseppe Sarto, eletto nell’estate del 1903, sono infatti in tutti i sensi all’origine della chiesa novecentesca. Ne era perfettamente consapevole Pio XII, la cui carriera ecclesiastica era iniziata sotto l’ala protettrice del predecessore, che impose la riapertura del processo di canonizzazione – avviato nel 1923 e fermato dopo che era emersa la questione del modernismo – e lo proclamò prima beato (1951) e poi santo nel 1954. A tutt’oggi è l’unico papa santo degli ultimi quattro secoli. Allora la Chiesa andava molto cauta con la glorificazione post mortem dei pontefici.

Ma la canonizzazione, imponendo Pio X alla venerazione della Chiesa universale e proponendolo quasi come un modello ideale di papa, ne rese più difficile la storicizzazione da parte degli studiosi. La percezione di Pio X, ormai collocato sugli altari e con l’aureola sul capo, fu infatti deviata dal terreno scosceso della storia a quello più facile dell’agiografia, dell’esaltazione acritica, della frantumazione aneddotica. Questo creò un primo inciampo interpretativo. Poi arrivò il Concilio Vaticano II. Le riforme conciliari (della Curia romana, del diritto canonico, della liturgia, del catechismo) ovviamente andarono oltre Pio X. Ma la cultura postconciliare interpretò spesso questo andare oltre come un capovolgimento, quasi un azzeramento, della linea precedente. Si è determinato così uno stacco fra il prima e il dopo (giustamente stigmatizzato da Benedetto XVI nel celebre discorso alla Curia del 22 dicembre 2005) che ha creato attorno al papa trevigiano un’ombra oscura di negatività.

Quest’ombra è stata poi rafforzata da due fattori. La corrente tradizionalista che faceva capo a monsignor Lefebvre si è impadronita della sua memoria e si è fatta scudo del suo nome nel rigetto di alcune riforme conciliari. Pio X è diventato in tal modo quasi l’emblema del rifiuto del Vaticano II e di una ribellione alla Chiesa sfociata in uno scisma. Contemporaneamente è fiorita tutta una storiografia che ha elevato la condanna del modernismo, pronunciata da papa Sarto nel 1907 con l’enciclica Pascendi, quasi a unico paradigma interpretativo di quel pontificato, visto esclusivamente come un momento di rottura con il mondo moderno. E così il povero Pio X, già vittima di una letteratura agiografica dal fiato corto, è finito in un angolo, rapidamente derubricato da pontefice ideale a ingombrante fardello su cui sorvolare.

Ma questo grave fraintendimento non poteva durare a lungo perché Pio X non era stato né il parroco buono e ingenuo dipinto dagli agiografi, né l’ottuso conservatore nemico delle riforme creato dai tradizionalisti, né il cieco martellatore dei modernisti proposto da qualche studioso prevenuto. Non a caso, infatti, la storiografia ha continuato a confrontarsi con questo pontefice (gli studi e le edizioni di documenti continuano a crescere senza sosta) e ha individuato un po’ alla volta, da diversi punti di vista, il vero nodo del suo pontificato. Quale? La riforma della Chiesa, delle sue strutture interne, della sua organizzazione, del suo personale dirigente, del suo rapporto con gli Stati.

Pio X fu il più incisivo riformatore dai tempi del Concilio Tridentino. Sta riemergendo oggi ciò che uno studioso acuto come Luigi Salvatorelli aveva fatto notare già molti anni fa, in tempi non sospetti: che Pio X è figura ben diversa dall’immagine sbiadita che ne è stata veicolata, perché «rare volte le linee autentiche di una personalità sono rimaste per tanto tempo nascoste da quelle che una pronta leggenda aveva artificiosamente disegnato».

Divenuto sommo pontefice senza avere minimamente cercato l’elezione, in seguito alla nota vicenda del veto austriaco che sbarrò la strada al favorito della vigilia, il cardinal Rampolla, Pio X affrontò la guida della Chiesa con una libertà interiore che raramente si riscontra nella storia del papato e rivelando una capacità di governo che nessuno immaginava. Totalmente sganciato da nostalgie temporaliste, diversamente dai suoi predecessori, soppresse subito lo ius exclusivae, cioè l’istituto giuridico che dava diritto ai poteri politici di condizionare le elezioni pontificie. Con ciò inflisse un colpo mortale all’alleanza trono altare e sganciò libertas Ecclesiae da ogni intralcio politico. Poi riformò radicalmente la Curia romana, che era ancora, nella sostanza, quella in vigore quando esisteva lo Stato pontificio.

Quindi mise mano al rinnovamento dei quadri episcopali, dopo una capillare ispezione alle diocesi italiane che mise in luce il preoccupante degrado, anche morale – in qualche caso addirittura impressionante – in cui versavano non poche strutture diocesane. Collegato con questo intervento fu l’altro rivolto ai seminari, col quale ne ripensò l’organizzazione e i curricula di studi, resi simili a quelli delle scuole pubbliche, anche per permettere a chi scopriva di non avere la vocazione di potersi reinserire nella vita civile.

A coronamento di questo disegno riformatore impostò la revisione del diritto canonico con un’operazione che rappresentò una mobilitazione senza precedenti dell’intera struttura ecclesiastica. Il Codex iuris canonici, sul quale oggi disponiamo di uno studio imponente di Carlo Fantappiè, ricostruì l’identità giuridica della Chiesa e uniformò, universalizzandolo, il suo funzionamento. Con ciò il cattolicesimo archiviava definitivamente la frammentazione per Chiese nazionali tipica del periodo pre-rivoluzionario e diventava una poderosa realtà unitaria, retta dovunque dalla medesima legge. Oggi vediamo i limiti di quell’operazione (l’irrigidimento, la clericalizzazione, la centralizzazione) ma la codificazione del diritto fu una straordinaria opera di modernizzazione, che permise alla Chiesa, dopo la fine del potere temporale, di recuperare su basi spirituali la propria identità, ponendosi di fronte agli Stati come entità sovrana e pienamente indipendente. Senza il Codex non sarebbe stata possibile la stagione concordataria perseguita dai successori di Pio X.

Alla luce di questo disegno la repressione del modernismo, benché realizzata con durezze disciplinari indubbiamente eccessive, non è episodio fine a se stesso ma appare funzionale ad un progetto molto più vasto di ricompattazione del cattolicesimo.

In questo poderoso lavoro di ricostruzione della Chiesa si inserirono le riforme liturgiche, catechistiche, eucaristiche, tutte funzionali a quel recupero di autocoscienza e di purificazione spirituale che fu l’obiettivo del suo pontificato. Non reggono più allora, alla luce di queste osservazioni che scaturiscono dalla storiografia più recente e avvertita, gli stereotipi con cui è stata finora interpretata la figura di Pio X: impolitico, reazionario, conservatore, autoritario. Pio X, al contrario, è il pontefice che archiviò definitivamente il temporalismo e che portò la Chiesa nella modernità con una sterzata radicale rispetto al passato. Di qui dovrebbe partire il ripensamento del suo pontificato.

 

Scritto da Gianpaolo Romanato il 24 Ottobre 2013 sulogo avvenire 120x38 

Professore di Storia contemporanea all’Università di Padova e membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, è originario di Fratta Polesine (Rovigo). Ha pubblicato diversi volumi, fra i quali si segnalano: Cultura cattolica in Italia ieri e oggi, Marietti, 1980; Religione e potere, Marietti, 1981; Chiesa e società nel Polesine di fine Ottocento, Minelliana, 1991; Pio X. La vita di Papa Sarto, Rusconi, 1992; L’Italia della vergogna nelle cronache di Adolfo Rossi (1857- 1921), Longo, 2010. Collabora a quotidiani e periodici.

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