Iscrizione al bollettino settimanale

Le virtù di Pio X (1 di 2)

DifferEtàCFra i molti titoli di gloria con cui si volle definire Pio X c’è anche quello dell’Episcopato Piemontese «Papa del soprannaturale».

Dotato di tutte le virtù Egli seppe e volle viverle tutte in grado eroico, spendendo intorno a sé il desiderio di emulazione. Eppure la sua vita semplice, lineare, di imitazione accessibile, aliena di farsi notare, specie dopo che l’excelsior lo aveva colpito, portandolo all’umile parrocchia, all’infula, alla porpora, al triregno, tale sua vita non sembrava fatta per lasciare un’orma così profonda di luce nella storia e di santità nella Chiesa.

Il suo miracolo, il miracolo di Pio X, consistette nel segreto esercizio di ogni virtù, che molti gli misconoscevano, gli contestavano e che Lui stesso svalorizzava a sé e in sé.

 

FEDE: fu il primo regale patrimonio avuto in dono dai genitori suoi, poveri in tutto, ma ricchi di essa, formata, accresciuta e perpetuata nell’amore a Dio, nella preghiera, nel sacrificio, nel lavoro onesto, nell’obbedienza alla legge del Signore e della Chiesa, realizzando gli ordini interiori di una pura coscienza, Egli ebbe fede negli esempi di sobrietà, di fiducia, di serenità del padre fervente cristiano ed esemplare cittadino; negli esempi della madre, per la quale, ad illustrarne virtù e doti, basta ripetere il saluto rivolto alla sua memoria di «mater admirabilis» e di «principessa di fede» (1); la fede lo sostenne nelle dure prove della fanciullezza, nel desiderio di farsi prete, nelle difficoltà da superare come parroco, vescovo e pontefice, per la salute delle anime e per la intatta conservazione del patrimonio spirituale del cristianesimo.

 

SPERANZA: Pio X, in qualsiasi stato la Provvidenza lo volle, fu attivo, di una cosciente e intelligente operosità per meritare e possedere i beni eterni; la sua non fu una virtù passiva, che attende, ma una virtù attiva che coopera, che agisce per meritare il premio. Del resto Egli, eletto Vescovo, volle nel suo stemma l’ancora, simbolo di speranza per i naviganti nel mare agitato del mondo e scrisse nella prima lettera pastorale “La speranza è l’ancora sicura e ferma dell’anima ed è l’unica compagna della mia vita, il più grande aiuto nella dubbiezza, la forza più salda nella impotenza. Dio nulla nega a chi spera in Lui e tanto possiamo, quando speriamo e possiamo tutto se periamo tutto; pur conoscendomi insufficiente al peso che mi fu addossato, tutto mi consolo sulla nella virtù della speranza”. Di essa era talmente convinto che, anche umanamente parlando, la considera quasi una certezza. Ad un Vescovo portoghese che Gli chiedeva l’aiuto di un milione per fronteggiare le spogliazioni subite dal Governo rivoluzionario, rispose di tornare il giorno appresso, perché al momento non disponeva dell’importo, ma che pregasse, tanto con tanta confidenza. L’indomani la somma era nelle mani di Pio X, offertagli da un anonimo ed Egli poteva esclamare: “Vede Monsignore, un milione è entrato, un milione è uscito! Benediciamo il Signore!”. L’inno estremo della speranza il Santo Pontefice lo cantò nel proprio testamento: “Confido che Iddio mi sia propizio e mi accolga nella Sua infinita Misericordia”.

 

CARITÀ: è grazia, è amore: “Ora soltanto queste tre perdurano: fede speranza e amore, ma la più grande di tutte è l’amore” (I Cor. XII, 13) perché oggetto di esso è Dio e nel riflesso di Dio è il prossimo.Giuseppe Sarto ebbe carità in grado eccellente, per il Signore, per la Chiesa, per i Sacerdoti, rimanendone conquiso fino dalla prima età e volendo servire Dio e la Chiesa e per meglio ottemperarvi volle farsi Ministro dell’Altissimo; ebbe carità per i genitori e congiunti, aiutandoli e sovvenendoli in proporzione alle proprie possibilità, ma sempre con la obbedienza, la cooperazione, il buon esempio; ebbe amore per i peccatori, i traviati, i poveri, i sofferenti di Tombolo e di Salzano; l’infermità del parroco Costantini, le decimazioni dolorose apportate dal colera dettero la stura alla carità del cappellano e dell’arciprete Sarto; giunto al Soglio di Roma allargò all’infinito la carità con atti, provvedimenti, disposizioni che parlano di amore senza limiti ed anche i provvedimenti disciplinari che Egli fu costretto applicare, per la durezza e caparbietà degli erranti, parlano di amore, giacché mai volle che il colpito venisse abbandonato a se stesso, ma nel segreto, direttamente o indirettamente lo seguiva, lo aiutava perché, fu scritto, Pio X anche quando richiama e punisce parla con un cuore che ama. L’atto di carità più eccellente del suo governo spirituale furono i suoi doveri Eucaristici, dettati da un profondo candido amore per le anime, specie dei fanciulli, facendo eco all’invito “lasciate che i pargoli vengano a Me!”. Nella sua prima Omelia in San Marco, aprì con questo interrogativo: “Che sarebbe di me se non vi amassi?”. Un poeta, Fabio Gualdo, presente al primo incontro del Patriarca con i suoi figli, così cantò:

“E l’anima mia,
percossa da muto stupore,
udiva il Tuo nome,
il solo Tuo nome echeggiare,
vasto e solenne,
con un lungo fragore di tuono,
per l’immenso bertillo,
oltre i confini del mare,
come un fatidico squillo,
nunzio di evento più grande,
nunzio di amore”.

Per l’amore Pio X meritò di essere acclamato «Calabriae et Siciliae Adiutor et Pater». E che dire della carità della sua mano, che va oltre le possibilità e che fa staccare da una parete dello studio un Crocifisso di volare e ne fa carità perché vendendolo come opera d’arte qualche po’ di denaro si sarebbe realizzato? Dalla carità ‘gioconda’ fatta fi poche lire ad un giovanetto, che tanto aveva vociato e fischiato contro il Vescovo, il dì del suo ingresso, perché “poareto! Che el se bagne la gola con un bicer de vin bon”?

 

PRUDENZA: fu in grado superlativo applicata da Pio X, ben sapendo che questa virtù so muove ed agisce in rapporto ad eventi futuri, i quali, essendoci sconosciuti, perché “prudentemente Dio nascose fra le tenebre il tempo futuro” (orazio: Lodi loibro III) domandno “accortezza, ricorso al passato, intelligenza del presente, consiglio ed esperienza altrui” (Royo Martin, teologia di perfezione cristiana).
Quando il mondo vessava il silenzio e l’apparente inattività di Pio X, Egli osservava la prudenza del silenzio, che avrebbe maturato magnifiche, salutari soluzioni; prudente si palesò nella scelta dei parroci e da Pontefice in quella dei Vescovi e Cardinali, che voleva pieni dello spirito del Signore, spazzando via tradizioni e consuetudini che volevano a determinati magisteri ed uffici taluni individui per il semplice fatto del loro nome, della loro posizione, della loro qualifica. E non fu saggio di prudenza il già accennato episodio di rifiutare, in calesse, di salirvi ed attraversare il centro di Padova, in compagnia della sorella Teresa, perché non recava scritto in fronte questa sua parentela con lui giovane abate seminarista?

 

GIUSTIZIA: a ciascuno il suo: ‘unicuique suum’, a Dio quello che Gli appartiene e quindi anima, cuore, intelligenza e volontà; sentimenti di amore, di obbedienza, di osservanza della Sua legge e sforzo continuato per farGli rendere eguale tributo da tutte le anime. Amò la giustizia e la applicò con la propria famiglia in corrispondenza di quanto essa aveva a lui elargito di cure e premure; con quanti del prossimo che ne avevano diritto per aiuti materiali concessi; con i suoi Segretari, che lo servirono con fedeltà devota a Roma, con l’amministrazione dei beni parrocchiali, vescovili, patriarcali, avocando a sé le registrazioni e i controlli. Rinunciò, con l’assenso dei donatori, a favore della Chiesa, taluni benefici per la propria famiglia, in quanto tali atti di generosità non si sarebbero verificati se Lui fosse rimasto il semplice sacerdote don Giuseppe Sarto, e non Pio X.
Applicò la giustizia ‘distributiva’ destinando ad uffici, servizi, autorità e dignità persone che ne avevano le doti necessarie di anima e di opere e non di censo o di ‘magnanimi lombi’; osservò la giustizia ‘vendicativa’ con provvedimenti atti a ristabilire l’equilibrio sovvertito da ingiustizie commesse contro Dio, la Chiesa, il prossimo. Ne furono esempi la città di Adria colpita da interdetto per le gravi colpe commesse contro il proprio Vescovo e Genova privata della grazia e onore di celebrare i pontificali per le opposizioni opposte alla nomina del novello Arcivescovo Mgr. Andrea Caron.

 

FORTEZZA: virtù interiore che Pio X ereditò dal padre, uomo dominatore del proprio carattere, signore della propria volontà e della madre, della quale il figlio Cardinale elogiò il ‘senno virile’ con cui ella, vedova, povera, carica di figli, “seppe uscire in porto dopo le vicende di un mare assai tempestoso” (Marchesan, Vita di Pio X, pag. 313). Pio X ebbe temperamento mite, è vero, ma all’occorrenza rigoroso, cioè dotato di fortezza; questo che sembrerebbe un paradosso e che “ha disorientato storici e critici superficiali, ha confuso politici e diplomatici mondani”, si spiega con il fatto che “Egli vedeva le cose dello spirito in presa diretta, senza complicazioni e divergenze” (P. Bargellini, Uomini come Santi: Pio X). Dolce come un san Francesco di Sales, Pio X fu anche forte e risoluto come Leone Magno; ebbe fortezza in tutte le avve5sità della vita, non ultima la difficoltà di realizzare il sogno di darsi al servizio del Signore; nel superamento della propria indole vivace, nella sottomissione al proprio parroco di Tombolo, la cui tarda età, malferma salute, pesantezza di metodi, assenza di iniziative, contrastavano con il sogno di un giovane cooperatore; fortezza nell’annientamento personale, ben sapendo che “nulla si è dato, finché non si è dato tutto” (Guynemeer) e questo “tutto da dare” era Dio. Vescovo e Patriarca impresse ai propri atti una fortezza evangelica e basterebbe accennare ai suoi provvedimenti di azione sociale; Pontefice ebbe pugno di ferro contro il Modernismo, contro le leggi francesi culturali, contro i soprusi e le spoliazioni di non pochi governi e tutti gli undici anni del suo Pontificato recano questo sigillo di fortezza, che è da Lui attinto da quell’alimento divino che si chiama il ‘Pane dei forti’.

 

TEMPERANZA: fu deposto nei processi apostolici di Pio X, da parte dei suoi Segretari particolari Bressan e Pescini, che “per Lui tutto era troppo”; e perciò seppe mantenersi nel giusto equilibrio di “non oltrepassare determinati confini nella misura delle cose e loro uso, né di rimanere indietro”.
Pontefice, mai chiese agi o comodi concessi al proprio stato, alla propria età, anche se ritenuti utile ad un eccessivo lavoro o a snervanti e profonde responsabilità; qualche suo desiderio, se intuito da chi gli era vicino, poteva soddisfarsi, diversamente Egli mai lo avrebbe espresso. Temperante da bambino, quando ogni piccolo cosa può invogliare, abolì pranzi e feste al proprio ingresso parrocchiale ed al suo arrivo nei paesi per la Sacra Visita Pastorale; centro di doni, di omaggi, faceva subito elargizioni ai poveri, ai monasteri, agli Istituti di assistenza; seppe sempre coltivare questa virtù sulla affermazione di S. Tomaso: “sia osservata (la temperanza) dai Ministri della Chiesa, perché devono dedicarsi alle cose spirituali e dai Governanti perché devono reggere con sapienza”. E Pio X sapeva di essere Ministro Sommo della Chiesa e di essa supremo Governante

(continua)

 

 

Fonte: “b.p.” – Ignis Ardens gennaio- febbraio 1965

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