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Pio x: studi e interpretazioni (1/4)

 

 

Pio x: studi e interpretazioni - Parte 1 di 5La figura del pontefice

L’elezione a papa di Giuseppe Sarto, avvenuta il 4 agosto 1903, colse tutti di sorpresa. Vescovo e patriarca di Venezia da nove anni, Sarto era una figura di alto spessore religioso ma poco conosciuto. Dopo la morte di Leone XIII, spentosi il 20 luglio, a novantatré anni, non era mai stato incluso fra i papabili.

Al centro del conclave, certamente il più drammatico e combattuto della Chiesa novecentesca, era stata la discussa figura del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, segretario di Stato del pontefice defunto e suo pronosticato successore, messo fuori gioco dal veto dell’Imperatore Francesco Giuseppe, che sparigliò le carte e costrinse i cardinali a cercare altre soluzioni. È allora che la figura di Sarto emerse quasi all’improvviso come l’unica in grado di superare lo stallo. Eletto al settimo scrutinio con 50 voti su 62 votanti (la maggioranza richiesta era di 42), prese il nome di Pio X.

Estraneo all’ambiente curiale e non condizionato da accordi precedenti, l’eletto portava nel papato un’ampia esperienza pastorale e un inattaccabile profilo morale. Nato nel 1835 nel Veneto, allora austriaco (lo rimarrà fino al 1866), aveva studiato nel seminario di Padova ed era stato cappellano e poi parroco per quasi vent’anni in piccole parrocchie di campagna, non lontane dai luoghi in cui era nato. Poi operò nella Curia vescovile di Treviso, la sua diocesi d’origine, come cancelliere e direttore spirituale del seminario. Nel 1884 fu nominato vescovo di Mantova e dieci anni dopo promosso alla sede di Venezia ed elevato al cardinalato.

Quando entrò in conclave aveva sessantotto anni e, tranne il periodo dell’episcopato mantovano, in una città quasi a cavallo tra Veneto e Lombardia, non era mai uscito dai confini della sua terra. Il suo pontificato, che durò undici anni e terminò un mese dopo lo scoppio della Grande Guerra, incise profondamente sulla Chiesa novecentesca e può essere diviso in due parti.

Nella prima parte, dal 1903 al 1907, Pio X dispiegò una vasta attività riformatrice che rinnovò a fondo il cattolicesimo tanto nell’organizzazione ecclesiastica quanto nella partecipazione dei fedeli. Le riforme, tutte impostate nel primo anno di governo, riguardarono

  • la soppressione del diritto di veto, un diritto consuetudinario che permetteva agli stati cattolici di impedire l’elezione di un cardinale sgradito;
  • la riforma dell’istituto del conclave, che assunse allora la fisionomia con cui è giunto fino a noi, con l’obbligo del segreto più assoluto sui suoi lavori;
  • la riforma della Curia romana, cioè del governo centrale della Chiesa, che era rimasta ferma a prima della fine dello Stato pontificio, riorganizzata in 11 congregazioni, 3 tribunali e 5 uffici;
  • l’imposizione nella liturgia del canto gregoriano, con la conseguente espulsione dal tempio della musica operistica, o da teatro, che vi si era introdotta nel corso del XIX secolo.

Pio X modificò in profondità anche la vita di fede. Incoraggiò, infatti, l’accostamento frequente all’eucarestia, contro un’antica cultura giansenista che invece scoraggiava la pratica eucaristica; anticipò la prima comunione dei bambini all’età di sei-sette anni; uniformò l’istruzione religiosa attraverso il catechismo unico; migliorò la moralità del clero e curò la formazione dei candidati al sacerdozio con una drastica riforma dei seminari.

Il decennio di governo del Sarto rappresentò insomma una svolta fondamentale per la vita della Chiesa cattolica. Bisogna ricordare che Pio X giunse al papato dopo che le vicende ottocentesche avevano profondamente cambiato il volto del cattolicesimo. Demolendo la chiesa d’antico regime, organizzata per chiese nazionali subordinate ai rispettivi governi, la rivoluzione aveva chiuso la stagione del giurisdizionalismo, cioè delle intromissioni del potere politico, e rimesso al centro del cattolicesimo il papato, la cui funzione universale era stata sanzionata dalla scomparsa dello Stato della Chiesa e dalla cancellazione del potere temporale.

Proclamando l’infallibilità pontificia, il Concilio Vaticano I aveva poi definitivamente riaccorpato il cattolicesimo attorno alla sede romana. Sarto fu eletto una trentina d’anni dopo questi eventi, quando la romanizzazione del cattolicesimo era ormai compiuta, e trasse le conclusioni da quanto era avvenuto, centralizzando al massimo il governo ecclesiastico e uniformando le forme liturgiche e della credenza.

Apparteneva al filone intransigente e anti-moderno, ma con la modernità, soprattutto dal punto di vista giuridico e organizzativo, ebbe un rapporto complesso di imitazione per contrasto, o di opposizione per imitazione, come è stato definito recentemente da Carlo Fantappiè1. Tale rapporto è evidente nella scelta della codificazione del diritto canonico, l’opera più duratura e impegnativa del suo governo, avviata nel 1904 e giunta a conclusione con il suo successore, nel 1917, quando fu varato il Codex iuris canonici.

Con ciò egli imponeva alla Chiesa latina un’unica legge, ponendo fine a diritti consuetudinari, legislazioni particolari, eccezioni, esenzioni. In sostanza Pio X uniformò la Chiesa al modello statuale post-rivoluzionario, pur mantenendola dottrinalmente su posizioni fortemente alternative all’ideologia liberale. Di qui l’imitazione per contrasto della modernità.

Nella seconda parte del pontificato, che possiamo far iniziare nel 1907, sembra prevalente, invece, il peso della questione modernista, cioè il timore del papa e dell’entourage che lo circondava (dove furono in posizione di preminenza i cardinali Merry del Val, segretario di Stato, Gaetano de Lai e Vives i Tutó, prefetti della concistoriale e dei religiosi) che nel cattolicesimo fosse in atto una deviazione dottrinale talmente grave da mettere in crisi l’equilibrio complessivo della chiesa. Da questa convinzione scaturirono la radicale condanna del modernismo (enciclica Pascendi del 1907), definito sintesi di tutte le eresie, lo strettissimo controllo disciplinare sull’apparato ecclesiastico, l’imposizione al clero, nel 1911, del giuramento antimodernista.

Furono anni difficili, inquinati da timori, sospetti e delazioni che toccarono anche vescovi e cardinali e che incupirono il carattere di per sé positivo del pontefice. In ogni caso, pur con questi elementi di contrasto, il pontificato di Pio X aveva avuto un forte impatto sulla Chiesa, come l’aveva avuta la personalità del pontefice, cui tutti riconobbero sempre disinteresse personale, austerità di vita, straordinaria capacità di lavoro, esemplare pietà cristiana.

Furono queste caratteristiche che indussero un gruppo di cardinali, in particolare Merry del Val, a proporne la canonizzazione. La causa – particolarmente ampia e complessa trattandosi di un papa – iniziò nel 1923, subì un’interruzione quando emersero dubbi e perplessità legati al modernismo, che resero necessario un supplemento di indagine, e si concluse con la beatificazione (3 giugno 1951) e la santificazione (23 marzo 1954).

La spinta determinante verso la conclusione positiva era venuta da Pio XII, la cui carriera ecclesiastica era iniziata a Roma proprio nei suoi anni di governo e sotto la sua ala protettrice.

Nelle occasioni appena ricordate, davanti ad una folla imponente, egli pronunciò due fondamentali discorsi, volti a fissare l’esemplarità sia della vita sia del magistero esercitato dal predecessore dalla cattedra petrina2.

 

Parte 1 di 4 - segue

 


Note:

  1. Carlo Fantappiè, Chiesa romana e modernità giuridica. Il Codex iuris canonici (1917), Giuffrè, Milano,
    2008, p. 976.
  2. Ugo Bellocchi (cur), Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740. Pio x, vii,
    Roma, 1999, pp. 13-29.

 


Fonte: Gianpaolo Romanato, Università di Padova (Italia), Pontificio Comitato di Studi Storici (Città del Vaticano).

Pubblicato da: ANUARIO DE HISTORIA DE LA IGLESIA / VOL 23 / 2014 / 153-167.  ISSN 1133-0104

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