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Pio X e i Barnabiti: modernisti?

 

 

Stemma dei BarnabitiLa vita di taluni celebri barnabiti, studiosi, predicatori, direttori di spirito, educatori, pastori d’anime, si svolse fra Ottocento e Novecento sotto i rilevanti pontificati (tutti, dal punto di vista della Congregazione, fausti e perigliosi insieme) di Leone XIII, Pio X e Benedetto XV.

Di Leone XIII si conoscono i suoi cordiali rapporti con la Congregazione, che del resto premiava con la creazione cardinalizia del padre Giuseppe Granniello nel 1893, sebbene poi mantenesse per alcun tempo rapporti molto tesi riguardo al «rosminianesimo» che avrebbe pervaso la Congregazione e che non era molto apprezzato da papa Pecci (49).

Di Benedetto XV, salvo casi isolati (in pratica l’annoso «caso Semeria»), si nota una alta considerazione dei barnabiti, alcuni dei quali, colpiti ingiustamente dal sospetto modernista, furono in certo modo «riabilitati» (1).


Con Pio X le cose furono più complicate e in alcuni momenti molto aspre, proprio a causa del modernismo o presunto tale. Durante tutto il pontificato di Pio X serpeggiò una lotta insonne degli antimodernisti contro i barnabiti, rei (a loro modo di vedere) di mantenere, se non addirittura di coltivare, una propensione alle nuove idee, di educare i giovani chierici alle «idee larghe», di diffondere scritti perniciosi, di intessere amicizie (palesi od occulte) con noti modernisti e modernizzanti.

Vi fu chi invocò da Pio X addirittura la soppressione della Congregazione perché «infetta» dal credo modernista e quasi irreformabile (2); chi accusava alcuni barnabiti di corrompere la gioventù con la loro educazione liberaleggiante e modernizzante (casi Gazzola, Ghignoni e Semeria); chi censurava addirittura la loro preparazione teologica (3).

Quante e di che tipo fossero queste accuse e queste prese di posizione è già stato (penso) sufficientemente dimostrato, così come è dimostrata la partigianeria di taluni gesuiti in queste accuse, l’invidia per il successo altrui, la miope visione delle cose e l’impari preparazione culturale che fronteggiava celebri barnabiti e deboli ecclesiastici, chiusi nel loro piccolo mondo che non era più antico e non era ancora moderno (4).

Dal continuo vortice di denunce, delazioni, resoconti quasi spionistici che giungevano al «sacro tavolo» di Pio X (e in molti casi erano poi trasmessi alla Segretariola) non si saprebbe dire come si difendesse il pontefice; il suo temperamento lo portava spesso a sospettare subito di chiunque fosse accusato di modernismo, anche quando non vi fossero state prove concrete ma soltanto indizi; nei colloqui personali con gli accusati sovente Pio X dissimulava (forse per prudenza), altre volte palesava il suo schietto pensiero, in altri frangenti si mostrava comprensivo e paterno (ma non poche volte passava dalla comprensione al sospetto, dal bonario e saggio consiglio a chi era o appariva in difficoltà, ad una certa sorveglianza).

Questo modo di azione egli mantenne anche con i barnabiti, sia con i superiori della Congregazione, sia con i religiosi tacciati di modernismo. Le sfumature dell’atteggiamento di papa Sarto vanno dalla più cruda condanna al timore, dalla cautela alla minaccia di interventi severi.

Non pare sia ancora giunto il momento di trarre conclusioni a questo delicato riguardo, sia perché nuovi documenti stanno affiorando e appariranno in futuro, sia perché, per un equo giudizio storico, andrebbe posto sull’altro piatto della bilancia il comportamento e la tattica di difesa dei superiori barnabiti e dei religiosi colpiti dal sospetto o dalla condanna del pontefice; studio, quest’ultimo, che è stato appena abbozzato ma non compiuto nella sua necessaria organicità.

Lasciamo perciò che siano gli storici a giudicare (con prudenza) e noi ci affidiamo ai nuovi documenti che di seguito pubblichiamo. Essi vanno ad arricchire il panorama storico che vide dipanarsi la vicenda del modernismo e delle sue fiere lotte sotto il pontificato di Pio X in ambito barnabitico. Altre integrazioni e altre addizioni verranno con gli anni, e forse gradualmente si comprenderà quali e quante siano state le forze in gioco, quali le più autentiche vitalità innovatrici e le forze della conservazione che si opposero.

Certo è che attualmente il giudizio dello storico, umanamente parlando, non può essere positivo (almeno non del tutto positivo) sul pontificato di Pio X, che se da una parte ha fronteggiato giustamente le deviazioni dottrinali interne al movimento modernista (o ad alcune sue correnti), dall’altra parte ha indubbiamente tarpato le ali alle energie migliori di un nuovo cattolicesimo riformatore e ha finito per creare (anzi per mantenere) una frattura o una distanza fra ortodossia e mondo moderno che causò certamente una stasi o una arretratezza in molti ambiti della vita ecclesiale di inizio Novecento.

Questa non fu l’ultima preoccupazione e l’intimo sofferto tormento di alcuni fra i più integri e dotti barnabiti, i quali, al pari di altri ecclesiastici, vedevano tutti i rischi di quella azione pontificia recalcitrante e timorosa.

Presentiamo ora diverse sillogi di documenti (*), tutti tratti dalla Segretariola di Pio X, che riguardano i padri Pietro Gazzola, Gaetano Oggioni, Alessandro Ghignoni e Giovanni Semeria. Si tratta di documentazione diretta (scritti di questi religiosi o a loro inviati), sia di documentazione indiretta (scritti di diverse persone aventi per oggetto, in tutto o in parte, i menzionati barnabiti). Tale documentazione, per il fatto di essere scelta da un complesso archivistico più vasto e variegato, risulta di necessità frammentaria, pur mantenendo intatta la sua rilevanza.

 

(*) leggi i documenti nel file .pdf da pag 25 a pag 94

 

 

 


Note:

  1. È sintomatico di una maniera non del tutto obiettiva di scrivere di storia quanto fece il barnabita Orazio PREMOLI, uomo di tutto rispetto e di solide capacità analitiche, nella sua Storia ecclesiastica contemporanea (1900-1925), Torino-Roma, Marietti 1925. Trattando egli assai brevemente del fenomeno del modernismo sotto Pio X e Benedetto XV, ne diede una interpretazione che si esauriva nella devianza di fede (Le Roy, Loisy, Tyrrell), riconobbe a Pio X il merito di aver combattuto il fenomeno (pp. 20-21) e non nominò mai alcuno dei suoi confratelli che eretici non furono, né furono formalmente condannati, e che pure alla parte più sana e genuina di quel movimento (che non fu soltanto teologico) diedero un impulso vitale e coraggioso. Molto più vantaggiosi risultano, anche da questo particolare punto di vista, i ricordi di Giovanni SEMERIA, I miei quattro papi, Amatrice (Rieti), Scuola Tip. Orfanatrofio maschile 1931 (Giuseppe BOFFITO, Scrittori barnabiti o della Congregazione dei Chierici di San Paolo (1533-1933). Biografia, bibliografia, iconografia, III, p. 508).
  2. Si veda oltre, ad esempio, quanto scriveva il gesuita Guido Mattiussi a mons. Bressan (cfr. doc. 3).
  3. Il gesuita Giuseppe Barbieri, scrivendo a mons. Bressan (cfr. nota 100), invocava nientemeno che l’invio di un visitatore apostolico fra i barnabiti per scovare le eresie e gli eretici!
  4. Una panoramica di tali vicende si ha nel volume di Antonio GENTILI-Annibale ZAMBARBIERI, Il caso Semeria (1900-1912), in «Fonti e documenti. Centro studi per la storia del modernismo. Istituto di Storia dell’Università di Urbino» [FD], 4, Urbino 1975, pp. 54-527.

 

 


Fonte: Sergio M. Pagano su Barnabiti.net

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